Dipartimento Diritti di cittadinanza

Ufficio Nuovi Diritti

 

BUILDING OUR EUROPEAN COMMUNITY

XXI Conferenza Europea dell' ILGA

Pisa, 20-24 Ottobre 1999

 

UN'OMBRA SUL MURO O UN SASSO SULLA STRADA?

 

LA VISIBILITA’

Parlare di se’ non è mai facile. Esporsi, accettare di essere argomento di conversazione, sopportare giudizi non richiesti: la visibilità ha un prezzo. Essere un gay o una lesbica visibili oggi in Europa, una transessuale o un transessuale che non vuole più mimetizzarsi, ha importanza e peso che cambiano secondo il contesto sociale e l’ambiente dove si decide di divenire visibili. Il percorso che ha portato, porta e porterà uomini e donne a decidere di vivere pienamente e in ogni ambiente la propria condizione è e sarà diverso per ogni persona: una cosa tuttavia accomuna tutti questi percorsi, il valore politico di questo gesto.

L’aspetto politico

Come potrebbe un cambiamento culturale prescindere dalla responsabilità di ognuno degli interessati ad agire l’evoluzione? Il passo concreto che ogni lesbica, ogni gay, ogni transessuale in Europa può fare è decidere di essere visibile rendendo partecipe la propria omosessualità, vivendo apertamente la propria transizione. Impossibile pensare, infatti, di modificare la percezione generale dell’omosessualità e del transessualismo se gay, lesbiche e transessuali non saranno capaci tutti di darsi finalmente un volto, definendo se stessi come riferimento fisico e non solo come astrazione rappresentata, chissà poi quanto e come, da militanti e associazioni.

Il diritto personale di essere

Libertà di essere e di gestirsi in ogni ambiente: questo é l’aspetto predominante della visibilità. Quale è il diritto violato se non si parla di se’? Quanti si sentono veramente liberi di rivelare nel proprio luogo di lavoro qual è il loro orientamento sessuale, di raccontare che vita fanno con il partner, di gestire apertamente i vari passaggi per l’affermazione della propria identità di genere? Molti sono coloro che vivono in uno stato di soggezione e di costrizione personale insostenibile e spesso insormontabile e ciò che nei Paesi del nostro continente è più urgente, ancor più della costruzione di nuovi dispositivi di legge, è promuovere un processo di conoscenza che permetta di vivere il proprio orientamento sessuale, di affermare la propria identità di genere senza condizionamenti esterni, una battaglia di tutto il mondo civile, movimenti omosessuali e transgender in prima linea.

Come agire

Cosa significa essere pubblicamente visibile nella quotidianità? Cosa significa portare negli ambienti in cui si vive la propria condizione? Nel processo di visibilità l’azione è assai complessa e parte dal realizzare l’auto-accettazione e la capacità di distinguere le limitazioni dalle auto-limitazioni alla libertà personale. Ragionare sul valore soggettivo e sociale della visibilità é dovere di chi si propone di migliorare le condizioni di vita di gay, lesbiche, transessuali e non solo. La domanda chiave è "come portare gay, lesbiche e transessuali a riconoscere a se stessi il diritto di scegliere liberamente dove e come esistere?" La risposta è sempre "Liberarsi per liberare: trasformarsi da un’ombra sul muro in un sasso sulla strada".

LA DISCRIMINAZIONE

Discriminare significa prendere a pretesto una qualsiasi differenza per sentirsi migliori o per sentirsi minacciati e per allontanare l’altro, per negarne al limite la possibile esistenza. La discriminazione nasce da un sentimento irrazionale di paura e da uno anche troppo razionale di conservazione rispetto a ciò che contrasta con stereotipi e schemi mentali tranquillizzanti. Oggi la nostra società è investita da una violenta ondata di nuovo conformismo che punta sulla modifica del comportamento individuale al fine di costruirne uno collettivo, con la forte complicità dei media.

Sul lavoro, la particolare congiuntura economica che in tutta Europa crea scarsa occupazione a fronte di molte richieste consente ai datori di lavoro di attuare pesanti discriminazioni, selezionando di propria iniziativa il personale, eliminando chi non corrisponda a un preciso schema comportamentale, e non ci si limiterà a questo, tentando di far passare anche tra i dipendenti il concetto che certe scelte sono quelle giuste, con la conseguenza immediata di creare un clima ostile anche da parte di potenziali colleghi.

E’ quanto di solito accade nei confronti di una persona omosessuale o transessuale, spesso già in difficoltà per dover affrontare una dura battaglia di vita, con il rischio che le persone decidano di nascondersi costringendosi ad una esistenza carica di sofferenza morale e psicologica, con effetti a volte anche letali, mentre per coloro che non possono nascondere la propria diversità, come i transessuali e le transessuali, diventa inevitabile uno scontro con il resto della società, con il risultato di una loro esclusione dalla "civile" convivenza.

Il sindacato

La discriminazione verso le persone omosessuali o transessuali generalmente non è manifesta, prevedendo la legge specifiche tutele, e resta punta di iceberg di infinite possibilità. Assume di conseguenza un valore strategico più generale e collettivo un impegno da parte del sindacato, perché affermare il diritto del singolo gay, della lesbica, del transessuale e della transessuale ad essere se stessi e riconosciuti come tali, significa affermare un diritto per tutti di scegliere il proprio modo di vivere e migliorare la qualità della propria vita della società intera: il principio per cui battersi mantiene la libera scelta individuale come atto che si riflette sulla collettività, mentre troppe volte si è cercato di relegare tutto nella sfera del privato. Non resta al sindacato che affrontare questa battaglia con lo stesso spirito e la stessa determinazione con cui affrontò a suo tempo la battaglia contro la discriminazione degli immigrati dal sud negli anni ‘50 o quella per le pari opportunità per le donne, esempi noti a tutti.

Le Associazioni

Il panorama associativo in Europa è vasto e variegato. Difficile comprendere quali siano le iniziative più strettamente legate alla tutela del lavoro per gay, lesbiche e transessuali dato che manca documentazione o un centro di raccolta concretamente attivo. Molte organizzazioni hanno al loro interno servizi di consulenza legale che si occupano spesso anche di questioni legate al lavoro, al suo mantenimento ed alla protezione dei diritti personali nel luogo di lavoro. Diverse sono anche le iniziative di supporto create per la ricerca di un impiego: molte associazioni, soprattutto in grandi realtà urbane, cercano di costruire reti di supporto per la ricerca di impiego, siano esse formali od informali. Molte realtà associative diventano anche organo consultivo nella realizzazione di azioni positive: queste organizzazioni si sono fatte riconoscere come interlocutore rappresentativo in diverse istanze amministrative e politiche al fine di proteggere i diritti e gli interessi di gay, lesbiche e transessuali.

Quali azioni positive?

In quali settori vale la pena di incrementare l'impegno perché all'interno del nostro continente le condizioni di lavoro per gay, lesbiche e transessuali possano migliorare?

Gli ambiti di lavoro possono essere riassunti in questo elenco:

  • Servizi di supporto ai lavoratori ed alle lavoratrici: consiglierato, assistenza legale, counselling personalizzato;
  • Formazione sindacale: attrezzare i rappresentanti sindacali a migliorare la loro preparazione per la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici gay, lesbiche, transessuali, transgender;
  • Iniziative di promozione politica: sensibilizzazione delle organizzazioni sindacali alle problematiche connesse alla tutela dei lavoratori e delle lavoratrici gay, lesbiche, transessuali, compito soprattutto di associazioni ed organizzazioni;
  • Iniziative di opinione e culturali per evidenziare la conoscenza delle situazioni e per evidenziare pratiche discriminatorie esplicite ed implicite nei luoghi di lavoro.

IL TRANSESSUALISMO

La peculiarità principale e più evidente della condizione transessuale è la visibilità. Al contrario delle questioni relative all'orientamento sessuale, il transessualismo è una condizione che non può prescindere dal rendersi pubblica, pena la rinuncia - totale o parziale - alla propria scelta. Questa specificità pone direttamente e senza via di scampo le persone di fronte al problema del rischio di discriminazione. La "rivoluzione estetica", che la scelta transessuale comporta come condizione indispensabile ha quasi sempre una immediata ricaduta su tutti gli aspetti della vita: affettiva, familiare e lavorativa.

La discriminazione sul posto di lavoro

L'età della decisione è piuttosto diversificata e dipende da variabili individuali, culturali, familiari, economiche. Visto il continuo slittamento in avanti dell'età del "primo impiego" in tutta la Unione Europea e nel mondo occidentale in genere, probabilmente chi inizia a transizionare intorno ai 20 anni è ancora alla ricerca del lavoro, mentre chi inizia il percorso in età più avanzate (30, 40 ma esistono casi di persone anche 50enni) verosimilmente ha già trovato un mezzo lavorativo di sostentamento. Le due situazioni hanno alcune caratteristiche comuni ed altre che le distinguono.

Per le persone che non hanno un lavoro

Chi si trova in un percorso di transizione è per la maggior parte delle legislazioni nazionali europee e mondiali collocato in una sorta di "limbo" giuridico. La condizione transessuale è in quanto tale semplicemente non prevista, se non dopo la srs e la riassegnazione giuridica di sesso, e questo costituisce uno dei più importanti nodi da sciogliere. E' ovviamente difficile trovare lavoro fino a che tale condizione legale persiste, o fino a che non sia previsto un adeguamento formale del proprio nome al proprio genere sessuale scelto.

Legislazioni nazionali a modello di quella tedesca, che prevede anche la cosiddetta "piccola transizione" (ovvero il cambio del nome anagrafico dopo l'avvio delle cure ormonali), potrebbero sicuramente aiutare la persona che, raggiunta un equilibrio che ritiene buono per se’, attraverso cure ormonali, modifiche estetiche, ecc., cerca occupazione. La possibilità di non manifestare a un possibile futuro datore di lavoro la propria condizione transessuale o comunque il fatto che tale condizione sia prevista e tutelata dalla legge, magari in concomitanza con norme anti-discriminatorie, costituirebbe un punto di forza formidabile per sconfiggere l'ostracismo esistente.

Leggi più favorevoli non possono tuttavia, da sole, costituire una panacea contro tutte le discriminazioni e gli atteggiamenti ostili nei confronti delle persone T* ma indubbiamente costituirebbero un grande passo avanti, permettendo una maggiore possibilità di difesa dei propri diritti e di rivalsa giuridica, e, anche in questo caso, nuove normative avrebbero ricadute sociali favorevoli non solo per le persone T* ma per la società nel suo insieme.

Per le persone che hanno già un lavoro

Anche per chi ha già una fonte di sostentamento, nel momento in cui decide di transizionare, le cose non sono per niente semplici ed i rischi di discriminazione sono molto alti sia dal punto di vista umano-relazionale, sia da quello relativo alla conservazione del proprio lavoro. Esporre ai propri colleghi e all'azienda da cui si dipende o ai clienti se si ha un lavoro in proprio un cambiamento di tale portata comporta rischi che possono andare dalla semplice emarginazione, al compromettere la propria carriera, fino al "licenziamento", anche se la legge lo vieta, o alla perdita di una considerevole parte dei propri clienti. In questi casi le variabili sono davvero infinite e dipendono dal tipo di lavoro o di attività che si svolge, dalle dimensioni dell'Azienda e da quanto le proprie mansioni hanno a che fare con l'immagine della stessa (lavoro con il pubblico, per es.).

Inoltre va aggiunto che la transizione può comportare periodi di minor rendimento e di minor assiduità sul lavoro per visite specialistiche, interventi chirurgici e possibili effetti collaterali di cure ormonali. Non è difficile immaginare che, nel caso in cui si sommassero a difficili questioni familiari e relazionali anche l'ostilità dei colleghi, l'ostracismo dei superiori, l’ansia della riduzione delle proprie prestazioni e la consapevolezza di non guadagnare sufficientemente per la modificazione dei propri caratteri sessuali primari e secondari, la persona transessuale si senta sopraffatta e abbandoni il campo, decidendo spontaneamente di licenziarsi o di interrompere la propria attività.

Come ridurre il rischio di discriminazione

Fino a che il transessualismo non sarà una situazione conosciuta per quello che é, al di là della volgarità e dell’approssimazione rappresentata dai media e dall’opinione corrente, sarà difficile realizzare l'emancipazione di chi ha deciso di cambiare sesso. Contemporaneamente, fino a che non esisteranno leggi che diano garanzie, è altrettanto difficile riuscire a ridurre l'emarginazione dal lavoro e dalla società. Per questo motivo diventa di fondamentale importanza un grande impulso alla corretta informazione e una revisione delle leggi che trattano il transessualismo in se stesso e in relazione con il posto di lavoro. Le nuove legislazioni dovrebbero prevedere sicuramente:

  • la possibilità di cambiare nome anagrafico sui documenti di identità nel momento in cui si iniziano le cure ormonali e si decide di vivere nel genere scelto;
  • una partecipazione effettiva dei sistemi sanitari nazionali alle spese relative alle modificazioni dei caratteri sessuali sia primari sia secondari;
  • la possibilità di godere di periodi retribuiti di "aspettativa" (o analoghi) quando si debbano affrontare cure o interventi chirurgici relativi al cambiamento di sesso;
  • dove esistano trattenute aziendali di parti del proprio salario (in Italia ad es. il trattamento di fine rapporto o "liquidazione"), la possibilità di attingere a tali fondi per le spese di transizione;
  • norme antidiscriminatorie che proteggano esplicitamente il rapporto di

LE BUONE PRATICHE NELLA TUTELA DEI LAVORATORI E DELLE LAVORATRICI GAY, LESBICHE E TRANSESSUALI.

Il quadro legislativo frammentato e diversificato nei paesi dell'Unione Europea, dimostra come in molti stati membri la tutela nel luogo di lavoro dei gay, delle lesbiche, dei transessuali e delle transessuali sia una pratica complessa. Da questo punto di vista le attività delle associazioni gay, lesbiche, transessuali e transgender, dei sindacati e di alcune parti politiche si dimostra l'unico punto di appoggio nelle istanze di tutela dei diritti di queste persone nei luoghi di lavoro.

Tutela sindacale

In alcuni paesi dell'Unione Europea, le organizzazioni sindacali si occupano da qualche tempo specificatamente della questione gay, lesbica, transessuale, con impegni ed iniziative diversificate.

CES: la Conferenza Europea dei Sindacati all'interno della Segreteria Politiche Sociali, ha cominciato ad occuparsi della questione della tutela dei lavoratori e delle lavoratici omosessuali e transessuali, monitorando il lavoro delle organizzazioni aderenti. Questo monitoraggio parte dalla partecipazione della CES alla conferenza di Torino del settembre 1998, organizzata dalla CGIL (maggior confederazione sindacale italiana), durante la quale per la prima volta la CES ha si é schierato ufficialmente sulla questione. Il lavoro con la CES diventa fondamentale se ci si pone l'obiettivo di realizzare interventi di formazione sindacale e strutturazione di servizi in tutto il continente.

FNV (Paesi Bassi): la confederazione sindacale olandese, come alcune altre nei Paesi Bassi, ha iniziato una grande attività di organizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici omosessuali; esiste, infatti, un coordinamento di questi lavoratori e diverse attività di ricerca sono state realizzate sulla condizione lavorativa dei gay, delle lesbiche, dei transessuali e delle transessuali. L'iniziativa politica partecipata del sindacato dei Paesi Bassi ha anche permesso l'ottenimento di diversi riconoscimenti legislativi e di leggi positive in favore delle persone discriminate a causa del loro orientamento o della loro identità di genere.

CGIL (Italia): il maggior sindacato italiano ha da circa otto anni istituito un Ufficio Nazionale che segue in modo specifico le questioni della discriminazione causate dall'orientamento sessuale o dall'affermazione dell’identità di genere. In alcune grandi città, nelle sedi sindacali, sono stati aperti sportelli di consulenza e supporto per la tutela dei diritti. Le risorse disponibili a questo tipo di attività sono tuttavia ancora troppo basse e marginali rispetto all'intero impianto politico di questa organizzazione sindacale. Resta questa in ogni caso l'unica esperienza sindacale italiana nel campo della tutela dei lavoratori e delle lavoratrici gay, lesbiche, transessuali.

UNISON (Regno Unito): il sindacato britannico dei lavoratori del pubblico impiego ha al suo interno un coordinamento gay, lesbico, transessuale, molto attivo e propositivo all'interno del sindacato ed anche nell'intera società civile britannica. Molte le iniziative di tutela e di sensibilizzazione realizzate.

OTV (Germania): anche qui la punta di diamante è il sindacato del pubblico impiego e dei trasporti. All'interno di questa organizzazione sindacale è stato creato un gruppo di lavoro sulle questioni omosessuali/transessuali che produce iniziative politiche sindacali di sensibilizzazione spesso rivolte anche all'esterno.

CCOO (Spagna): la più grande organizzazione sindacale spagnola, sta cominciando a studiare la situazione lavorativa dei gay, delle lesbiche, dei transessuali e delle transessuali nel regno iberico. Il via a questa iniziativa è stata data dalla Conferenza di Amsterdam su Omosessualità, lavoro e sindacato. Il lavoro è allo stadio totalmente embrionale e solo nei prossimi mesi si potrà misurare il risultato di questa attività.

HIV - AIDS

Non si deve associare il virus HIV con le diversità sessuali, proprio per questo parlare di HIV in sede politica gay, lesbica o transgender è difficile. Per molti ancora oggi diversità più trasgressione uguale colpa, colpa uguale punizione, punizione uguale malattia o morte. Non è questo solo un teorema del cristianesimo più integralista o del fascismo variamente mascherato, purtroppo è anche un'equazione profondamente radicata nell'inconscio collettivo, un’equazione che va rimossa: i gay, le lesbiche, le transessuali e i transessuali non hanno nessun rapporto necessario ed esclusivo con l'HIV e più in generale con le malattie e con la morte, per cui oltre che battersi per chiarire che "HIV" non è uguale a "gay", bisogna stabilire una volta per tutte che "HIV" - siano o no gay le persone malate - non è necessariamente uguale a "morte". E soprattutto - questa è forse la cosa più difficile - bisogna chiarire che anche quando si muore per l'HIV, magari da giovani, che si sia gay o no, questa morte, che produce sicuramente dolore, non nasce in alcun modo da una colpa e quindi la terribile privazione che ne deriva non è in alcun modo espiazione, riparazione, prezzo pagato. E’ interesse di tutto il mondo civile liberare il piacere dalla colpa.

La battaglia culturale e psicologica, tuttavia, è perduta in partenza se non ci si batte anche per i diritti delle persone contagiate dall'HIV: gay o no, malati di AIDS o portatori asintomatici del virus, tutti hanno diritti che vanno difesi. Questo va ribadito in quanto la percezione diffusa che si tratti di una malattia legata a una colpa mette a repentaglio questi diritti. Anche in questo caso la dimensione sociale e giuridica del fenomeno si intreccia con quella culturale e psicologica: ed è qui che risaltano i problemi legati al lavoro e al sindacato.

La discriminazione delle persone sieropositive

Il primo problema è garantire pari opportunità sul lavoro alle persone sieropositive e, anche in questo caso, "pari opportunità" significa lotta attiva alla discriminazione. All'atto della selezione per l'ottenimento di una occupazione la lavoratrice o il lavoratore di cui è nota la sieropositività sono svalutati rispetto ad altri. Nel caso invece di lavoratori e lavoratrici già assunti, la conoscenza da parte del datore di lavoro della sieropositività può portare a pressioni tese a provocare l'allontanamento della persona: dalla velata minaccia, al declassamento delle mansioni, all'offerta di denaro. Si possono così determinare situazioni in cui al grave stress che comunque deriva dalla conoscenza dell'avvenuto contagio si somma a quello dovuto alla discriminazione.

Si tratta di fenomeni assai più diffusi di quanto non si creda e l'assenza di pubblicità è legata al fatto che molto spesso le persone interessate preferiscono non rendere nota la loro vicenda al punto di non avvalersi nei confronti dei datori di lavoro degli strumenti che la legge già mette loro a disposizione e d’altra parte le organizzazioni sindacali raramente hanno la volontà, la capacità e la cultura necessarie a sostenere fino in fondo la lavoratrice o il lavoratore che si espone. Noi dobbiamo costruire volontà, capacità e cultura.

In Italia, ad esempio, la legge vieta ai datori di lavoro di effettuare il test HIV all'insaputa del lavoratore e contro il suo consenso; e vieta inoltre ogni trattamento di sfavore messo in atto sulla base della condizione sierologica del dipendente. Da elementi legislativi di questo genere si può partire, nel nostro Paese e altrove, per un'efficace azione di contrasto delle discriminazioni.

Nuove terapie e nuove possibilità di lavoro

Le nuove terapie hanno creato una nuova situazione nella quale molte persone, che hanno subito delle patologie gravi, vogliono e possono riprendere la loro attività, o addirittura possono decidere di cominciarne una, i malati molto giovani, ad esempio.

Rispetto alla necessità di tutela di queste persone bisogna tenere conto che, rispetto al passato:

  • non si tratta più di persone completamente invalide, c'è quindi un recupero, parziale o integrale, delle capacità lavorative
  • resta sempre, comunque, una situazione di specifica, particolarissima vulnerabilità, e perciò possono esserci patologie cicliche, intermittenti, ma anche esigenze peculiari, (per esempio, andare spesso in bagno, o prendere molte medicine nell'arco della giornata).

Queste esigenze sono perfettamente compatibili con un grande numero di mansioni lavorative a meno che non emergano atteggiamenti discriminatori legati in gran parte alla disinformazione. Si tratta come sempre di sconfiggere l'ignoranza, causa prima di razzismo.

Written by:

Maria Gigliola Toniollo, CGIL Nazionale – Ufficio Nuovi Diritti
Enzo Peretta, CGIL Liguria – Ufficio Nuovi Diritti
Giuseppe Bortone, CGIL Nazionale – Dipartimento Diritti di Cittadinanza
Mirella Izzo, Arcitrans Crisalide
Piero Pirotto, Informagay

Subscriptions:

Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli
MIT - Movimento Identità di Genere
Arcigay Nazionale