L'intervento della dott.ssa Argentieri può essere seguito audiovideo all'interno del seguente link di Radio Radicale:
rtsp://.../uni_roberta_0_20050507141650.rm?start="00:00"&end="03:06:50"&cloakport=80,554,7070 (ultimo intervento del file ra),
oppure essere ascoltato direttamente il solo intervento dell'Argentieri scaricando il file Argentieri.wav

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Transgender: tra il diritto e il delirio?

La richiesta di un diritto di replica

 

Ho avuto modo solo recentemente di ascoltare dagli archivi web di Radio Radicale la conferenza organizzata dalla Fondazione Basso sul tema “Trasformazione del corpo e diritto della persona”, nel corso del quale la psicoanalista Simona Argentieri è intervenuta sul tema: “Transgender: tra il diritto ed il delirio”.

La prima considerazione e critica che muovo agli organizzatori del convegno è quella dell'impostazione relativa al dibattito stesso. Se infatti, altri interventi erano di carattere generale sulla modificazione della percezione del corpo nell'attuale società, quello della Argentieri era specifico nei confronti di una categoria di persone: le persone transgender.

In un periodo in cui anche nelle conferenze mediche su malattie non presunte e di eziologia incerta come è la realtà transessuale, ma conclamate e attinenti a patologie fisiche, vengono invitati i rappresentanti delle Associazioni dei malati,  stupisce la leggerezza con cui gli organizzatori del convegno abbiano ideato un intervento SULLA TESTA delle persone transgender, senza la concessione di un diritto di replica in sala, alle associazioni che rappresentano in Italia le persone trans, le più importanti delle quali la stessa Argentieri ha avuto almeno la bontà di citare.

In modo particolare stupisce che mentre alle associazioni di malati di patologie di eziologia accertata viene di norma data la parola persino nei convegni specialistici, questo non sia avvenuto per la realtà transgender, la cui ezio(pato?)logia è ancora oggi assolutamente incerta e per la quale è in atto una discussione tra gli studiosi del campo, la correttezza  stessa dell'uso del suffisso “pato” (patologia).

E' davvero curioso che, mentre la scienza tutta è concorde nel non aver ancora trovato una spiegazione certa e plausibile sulla distonia tra corpo genetico e identità di genere presente in una piccola percentuale della popolazione (ci sono studi, nessuno dei quali definitivi, che hanno cercato origini psichiatriche, psicologiche, genetiche, culturali, ormonali, di dimorfismo cerebrale, ecc. ecc.), questa stessa oggettiva distonia venga attribuita arbitrariamente alla sfera psichiatrica con un inquadramento presente nel DSM IV edizione di nome “Gender Identity Disorder (GID)” o, in italiano, “Disturbo dell'identità di Genere (DIG)”, e non più, come dichiarato dalla Argentieri “Disforia di Genere”.

Riteniamo che un diritto di replica delle Associazioni Transgender a tale intervento sarebbe stato particolarmente necessario ed eticamente corretto per una miglior comprensione delle cose da parte dell'uditorio presente, proprio in virtù del fatto che l'intervento della dott.ssa Argentieri si pone in una posizione di netto contrasto sia con quanto stabilito dalle “bibbie” della psichiatria (DSM IV edizione), sia da quanto stabilito dall'OMS (ICD 10) in merito al transessualismo, sia dalle battaglie civili portate avanti dal movimento transgender italiano ed internazionale.

Chiedo pertanto la possibilità di controargomentare, in qualità di presidente nazionale di Crisalide AzioneTrans, e con lo stesso rilievo dato all'intervento della Argentieri, alle posizioni espresse dalla stessa che – al di là della tesi che sottendono – contengono alcune imprecisioni ed errori, il primo dei quali ho già evidenziato nel attribuzione scientifica del nome che la psichiatria utilizza per descrivere il transessualismo (“Disturbo dell'Identità di Genere” invece di “Disforia di Genere).

Inoltre la Argentieri sostiene che, sia il travestitismo sia il transessualismo, siano inquadrati tra le “parafilie” (vernissage linguistico del vecchio nome “perversione” ma con lo stesso significato diagnostico). Ciò non corrisponde a verità. Solamente il travestitismo - di più - solamente il travestitismo feticistico (ovvero derivante o accompagnato da compulsione sessuale) è considerato una parafilia dal già citato DSM IV edizione. Il transessualismo, con il nome di DIG, viene invece riportato nella sezione dei disturbi della sfera sessuale escludendo quindi la “parafilia”. Non si capisce inoltre il motivo del riferimento all'allarme lanciato sulla pedofilia, attualmente inquadrata come parafilia invece che come perversione, quasi come se il termine “parafilia” determinasse un diverso e riduttivo inquadramento nosografico. Cosa che non è, in quanto, è noto, parafilia è semplicemente un nuovo termine con lo stesso significato di perversione, così come “transgender” è il nuovo e più attinente nome del vecchio termine transessuale, in quanto è scientificamente impossibile “cambiare sesso” (il marchio genetico è attualmente immutabile) ed invece è possibile cambiare “gender” (genere).

Si coglie l'occasione per ricordare che, mentre il termine “transessuale” nasce in ambito medico, il termine transgender è figlio del movimento “trans”, quasi a dimostrare una delle poche cose che condivido tra le affermazioni della Argentieri, ovvero che sono le stesse persone “trans” ad “arrivare prima”, ad essere “più sveglie” dei cosiddetti terapeuti che si occupano della nostra presunta patologia. E' stato il movimento “trans” e non il mondo accademico a cui la Argentieri appartiene, quindi, ad affermare che è il gender ciò che noi modifichiamo e non il sesso; ciò a dimostrare che l'aspetto “delirante” relativo alla questione della distonia tra sesso genetico e sesso psicologico, non appartiene alle persone “trans” ma semmai è appartenuto al mondo medico che per decenni ha confuso “sesso” e “gender” e che solo in questi ultimi anni si è adeguato all'uso del termine “transgender” copiandolo dalle corrette intuizioni del nostro movimento (di liberazione, me lo si permetta).

Il punto di partenza di granitica certezza della Argentieri nel volerci inquadrare tra gli psicotici e i perversi, determina ovviamente un errore di impostazione iniziale dal quale non può che derivare una “cascata” di ulteriori errori di valutazione.

La Argentieri si lamenta del fatto di non aver potuto confrontarsi con i chirurghi e con gli endocrinologi, dimenticando che nessun chirurgo effettua l'intervento di riattribuzione dei genitali senza una sentenza di un giudice, il quale a sua volta sentenzia in base a perizie effettuate da suoi colleghi o da psichiatri e nessun endocrinologo prescrive ormoni sessuali ad una persona che non si presenti con una diagnosi di “DIG” sempre effettuata da suoi colleghi o psichiatri. E' quindi ben comprensibile il rifiuto di questi al confronto, quando in realtà i veri “Deus ex Machina” di tutto quanto riguarda il destino delle persone transgender non sono i chirurghi, né gli endocrinologi, né tantomeno le persone transgender (sic!), ma proprio i suoi colleghi o comunque professionisti della psiche.

Credo sia importante chiarire bene che, a mio parere, l'errore iniziale di impostazione commesso dalla Argentieri, ovvero l'inquadramento nosografico del fenomeno transgender, ha una rilevanza importantissima. Come già accennato, sull'origine del transgenderismo, sono stati fatti studi di ogni genere: ricerche sui cadaveri per verificare eventuali differenziazioni morfologiche cerebrali, ricerche sulla possibile origine genetica, ricerche sugli equilibri ormonali del feto e, ovviamente, ricerche di origine psichiatrica/psicologica/ambientale. E' dal nostro punto di vista stupefacente che di transgenderismo possa parlare da cattedra e come “voce unica”, proprio chi appartiene a quel tipo di specializzazione che – sull'origine del transgenderismo – ha ricercato le cause più curiose e fantasiose: ne abbiamo sentite davvero di tutti i colori, noi, povere vittime delle fantasie più assurde di psicologi e psicoterapeuti: la stessa Argentieri cita l'esempio del “padre assente e della madre castrante” (che comunque è l'unica ipotesi che ha un certo riscontro statistico nella realtà), ma si è dimenticata di citare, ad esempio,  l'ipotesi secondo la quale l'origine del transgenderismo possa risiedere nel “desiderio” del sesso del figlio, da parte della madre, durante la gravidanza. Ipotesi anch'essa nata nell'ambito degli psicoterapia e che appare ancora più fantasioso – oserei dire quasi “border line” della personalità, dove ciò che si sogna viene confuso con la realtà.

Di fronte a condizioni di cui non si conosce l'origine sarebbe opportuna tanta prudenza nel giudicare e valutare la vita delle persone e, di fronte all'assoluta ignoranza sull'eziogenesi del transgenderismo, sarebbe persino opportuna molta cautela nel definirci “patologici”, “psicotici” e quindi “pazienti”.

Sarebbe stato opportuno far sentire più voci.

La Argentieri sbaglia ancora quando dichiara che il “transessualismo” nasce in questo secolo con il noto primo intervento di rettificazione chirurgica dei genitali della Jorgensen. In questo secolo nascono solamente le “tecnologie” mediche capaci di realizzare adeguamenti del corpo alla propria identità di genere, ma non di certo la distonia tra sesso genetico e “sesso” psicologico. Di uomini vissuti come donne e donne vissute come uomini è piena la pagina della storia e anche della preistoria umana: Le Winkte e i “two spirits” delle più importanti tribù pellerossa, le hijras dell'India sono solo una piccola parte di un lungo elenco di nomi con cui venivano chiamate le persone “proto-transgender” nella storia dell'umanità. Uno dei combattenti che si contraddistinse particolarmente nella battaglia finale contro il gen. Custer era un “winkte”, un guerriero nato donna, che nella società Sioux era a tutti gli effetti uomo. Le persone winkte da maschio a femmina erano considerate ottime mogli e alle/agli winkte veniva dato l'importante ruolo sociale di “giudici di pace” nelle controversie familiari tra uomini e donne, proprio perché considerate persone “super partes”, avendo costoro conosciuto entrambi i mondi delle identità maschile e femminile.  Persino tra i reperti preistorici sono stati trovati cadaveri di persone di sesso maschile, attorniati da monili femminili. Quindi sesso maschile che nessuno può mettere in dubbio e genere (già allora) femminile, altrettanto indubitabilmente.

Purtroppo anche questa inesattezza comporta implicazioni davvero importanti. Ascoltando la Argentieri sembrerebbe che la realtà transgender sia quasi una sorta di “invenzione” di questo secolo, mentre invece appartiene alla storia dell'umanità fin dai suoi albori.

E' vero che i casi che arrivano – spesso “ob torto collo” – a psichiatri e psicoterapeuti di persone, anche giovani, che dichiarano di sentirsi appartenenti al genere opposto rispetto al proprio sesso, sono in aumento. E' sbagliato però trarne la conclusione che si tratti di una sorta di moda derivante da un certo “lassismo” etico degli specialisti. Semplicemente tutti i fenomeni condannati e repressi, vengono alla luce, con l'aumento della accettazione sociale di un fenomeno. E' una norma elementare che non può non valere anche per le persone transgender. Non a caso fino a pochi decenni fa, nell'ambiente transgender si parlava della regola del “1 su 10”. Regola sicuramente imperfetta ma che faceva luce sul fatto che su dieci persone con problematiche relative alla propria identità di genere, solo una riusciva a superare il proprio problema con la transizione, mentre gli altri nove erano condannati ad una vita infame e/o al suicidio.

E' davvero ragionevole pensare che una certa percentuale di suicidi “misteriosi” di adolescenti e adulti sia figlio di un problema di identità di genere a cui la persona che ne soffriva si è data la stessa risposta che la Argentieri vorrebbe dare oggi alle persone transgender: “non c'è soluzione al tuo problema”.

Posso affermare con assoluta certezza che se davvero la teoria della Argentieri venisse accolta dal mondo accademico e alle persone transgender venisse data come unica risposta la “via di uscita” del “non c'è soluzione al tuo problema”, i casi di transgenderismo si ridurrebbero drasticamente. Peccato che aumenterebbero contemporaneamente in maniera altrettanto drastica i suicidi e le malattie mentali (perché diciamolo ad alta voce.. vivere in un corpo e in una identità che non ti appartiene è un dolore difficilmente sopportabile per una vita intera).

Peraltro ciò che oggi suggerisce la Argentieri assomiglia molto alle risposte che venivano date nell'ottocento e nel primo novecento alle persone che si rivolgevano ai primi “figli di Freud”. Ed era proprio quella l'epoca della regoletta dell' “1 su 10”.

L'Argentieri dimentica inoltre di dire che se il mondo accademico è arrivato alla conclusione oramai quasi unanime che la miglior soluzione al problema dell'identità di genere distonica è l'adeguamento del corpo alla psiche, è perché in passato tutte le strade alternative hanno miseramente fallito.

Piccola considerazione personale di premessa: se dovessi associare la nostra condizione ad altre situazioni “cliniche” umane, paragonerei quello che viene chiamato (DIG), allo strabismo. Uno strabismo che non riguarda la vista ma l'opposizione tra il proprio sesso genetico che “guarda” da una parte e l'identità di genere che “guarda” dalla parte opposta.

Nessuno si chiede se sia giusto raddrizzare chirurgicamente gli occhi di uno strabico. Oggi non esistono più persone strabiche in persone che abbiano meno di 30-35 anni proprio perché tale “difetto” viene corretto fin dai primi mesi di vita.

Perché non dovremmo noi persone transgender poter curare il nostro “strabismo” senza dover essere sottoposte a pesanti giudizi etici?A valutazioni psichiatriche? Semplice: perché fino a che si parla di occhi si riesce a restare in un ambito scientifico e obbiettivo, ma quando si parla di sesso (o di genere) in questo paese, l'approccio scientifico, obbiettivo, improvvisamente si smarrisce nei millenni di etica cattolica che - oltre ad aver stabilito in passato che il sole girasse intorno alla terra - ancora oggi sostiene – e falsamente – che i sessi siano solo due e che soprattutto debbano restare immutati per via dell'imprinting cromosomico.

Si potrà obbiettare che mentre è facile capire dove debbono essere “raddrizzati” gli occhi di uno strabico, più difficile è capire se – nel nostro caso – il “raddrizzamento”, o meglio, l'adeguamento, debba essere del corpo verso l'identità o dell'identità verso il corpo.

Ed ecco che si torna alle risposte che fornisce la Argentieri: come comportarsi con le persone transgender? Cosa adeguare a cosa? Questa domanda se la posero fin dall'ottocento i primi studiosi di quello che allora veniva chiamato “travestitismo”, poi se la pose il dott. Mengele e poi ancora, nel dopoguerra se la posero psicoanalisti ed endocrinologi. Tutti i tentativi e per tutti quegli anni hanno provato ad effettuare l'operazione che apparentemente appare la più semplice: ri-adeguare l'identità di genere al corpo. Ovvero considerare l'identità psicologica di appartenenza ad un sesso come la malattia e l'indicazione cromosomica e genetica come la “retta via”. Fin dai tempi di Freud, ci provarono con la psicoanalisi e poi con massicce cure a base di ormoni maschili. Mengele fu più drastico e pensò (attuandolo nei campi di sterminio) ad un intervento chirurgico di lobotomia, e poi, nel dopoguerra ancora con tecniche di psicologia comportamentale e testosterone. Fallirono. Sempre. Tutti. L'unico risultato ottenuto fu quello di un enorme aumento di suicidi dei loro pazienti (a parte quelli di Mengele che sopravvivevano in uno stato di minorazione mentale o morivano nel lettino operatorio).

Ciò che la Argentieri omette di dire è che l'approccio a “curare” il nostro “strabismo” adeguando il corpo all'identità e non viceversa, è avvenuto solo dopo svariati decenni di fallimenti nella direzione opposta. Fu un poco una sorta di “ultima spiaggia” portata avanti in buona solitudine soprattutto dal dott. Benjamin in USA negli anni '40 (a lui è accreditata l'invenzione del termine – oggi superato da transgender – di transessuale). Quello che accadde strabiliò per primi gli stessi studiosi: l'adeguamento del corpo all'identità di genere funzionava decisamente meglio di ogni sforzo precedentemente fatto nel voler imporre alla psiche il marchio genetico. Le persone trattate in questo senso erano più felici, il numero di suicidi colava a picco, molte persone trovavano una seconda nascita di felicità (non è questo lo scopo ultimo dell'etica umana?) che spesso portava altra felicità ai mariti che sposavano le “transessuali” e – nei paesi civili – ai figli adottivi delle madri transessuali sposate. Un circuito virtuoso che certo non rimarginava totalmente la ferita di una nascita “strabica” nella propria identità, ma soprattutto dallo stigma sociale subito che ha accompagnato negli ultimi secoli la nostra realtà.

Se da una parte ci fanno rabbrividire gli esperimenti tentati per “guarirci” e farci tornare “sintonici” con il nostro sesso genetico, dall'altra parte la risposta proposta dalla Argentieri appare ancora più cinica. Seppure nell'aberrazione, quegli uomini (a parte il Mengele) tentavano di alleviare le sofferenze delle persone che si rivolgevano a loro, credendo di poter guarire le persone sofferenti nel modo che a loro appariva più semplice, anche come accettazione sociale. La Argentieri invece, con la sua proposta del “non esiste soluzione”, di fatto condanna comunque la persona ad una vita profondamente infelice.

L'unico risultato che porterebbe la soluzione Argentieri è quella di trasformare le persone transgender da pazienti temporanei di psicologi e psicoterapeuti a pazienti a vita (se non decidono di suicidarsi). L'unico beneficio andrebbe nelle tasche degli “specialisti” in spregio e disprezzo della cosa in fin dei conti più importante: il desiderio di felicità di una persona, di soluzione, foss'anche parziale, dei propri problemi.

Infine la Argentieri porta ad esempio alcuni casi clinici (guarda caso tutti transessuali femmine transizionanti maschio) in cui le persone transgender si sono pentite di aver effettuato l'intervento di rettificazione chirurgica dei genitali. Perché ho scritto il “guarda caso”? Perché è noto che mentre la chirurgia per costruire una neo-vagina è oggi molto sofisticata e raggiunge almeno buoni risultati dal punto di vista dell'estetica e del piacere sessuale, la chirurgia per costruire neo-falli è puramente sperimentale e assolutamente inadeguata. Lo è talmente tanto che in giurisprudenza, di norma, i tribunali ri assegnano anagraficamente i transessuali Female to Male anche in assenza dell'intervento di ricostruzione dei genitali.

Allora la contraddizione non è nella persona transgender ma è in una legge che obbliga all'intervento chirurgico sui genitali per poter vivere con documenti adeguati al proprio genere. Siamo d'accordo sulla critica alla chirurgia a tutti i costi e “dove” decidono i giudici, ma non per proporre “non soluzioni”, come fa la Argentieri, ma per proporre soluzioni migliori. Esattamente quelle a cui hanno pensato in Gran Bretagna e stanno pensando in Spagna. Contrariamente al sesso, l'identità di genere sessuale di una persona non può essere determinato dalla pura analisi cromosomica o dei genitali, ma da deve tener conto di un complesso di cose in cui non può essere escluso il “sesso psicologico” della persona e il fine ultimo da perseguire – come impone l'OMS – è la miglior soluzione per la realizzazione della felicità di ogni essere umano. E mi creda l'Argentieri, io che di persone pre-transizione e post-transizione ne ho viste centinaia e non poche decine, posso dire con assoluta certezza che tutte, nessuna esclusa, hanno nettamente migliorato la loro qualità di vita, dello star bene con se stesse, dopo la transizione. Certo alcune cicatrici possono restare, come il confronto con la donna genetica (o con l'uomo genetico) che ci fa sentire spesso perdenti in partenza. Ma sono davvero il nulla se confrontato al disagio tragico di una vita in un corpo che non riconosciamo come nostro. In più anche in questo ambito il movimento transgender, guardando avanti ma anche nel passato della storia umana di civiltà diverse da quelle dominate dalle religioni monoteistiche e quindi maschiliste e quindi sessuofobiche, sta sempre più rendendo residuale quel senso di “paragone perdente”, comprendendo e facendo comprendere che la nostra realtà ha dei suoi propri valori specifici e se siamo “perdenti” per alcune cose rispetto agli uomini e donne “genetici”, siamo anche vincenti in altre. Comunque anche noi abbiamo un senso nella storia dell'umanità e nello sviluppo della sua cultura e, per chi è credente, può anche esservi letto un disegno divino nella nostra realtà nata insieme alla nascita delle prime culture umane.

Infine diciamolo: siamo davvero stufe e stufi di essere spesso “oggetto” dei più stravaganti pensieri dei più disparati professionisti, se i risultati sono quelli dell'attuale inquadramento nosografico ufficiale e, ancor peggio, quelli sostenuti dalla dott.ssa Argentieri.

Un giorno chissà, sarà qualcuna o qualcuno di noi a scrivere su di voi “gentili”, sulle vostre psicosi specifiche alla vostra condizione. un nome a dire il vero esiste già: si chiama “genderismo” ed ovviamente – pur essendo chiaramente uno stato che può raggiungere vette psicotiche – non è descritto come patologia in nessun testo medico ufficiale. Ma prima o poi dovrà accadere che i giudicati possano a loro volta diventare giudicanti. Dott.ssa Argentieri, io non posso dirle che a mio parere lei è malata di “genderismo” sia perché non ne ho i titoli accademici, sia perché la patologia non esiste in nessun testo clinico, ma posso sicuramente affermare che il genderismo esiste come “forma mentis” derivante da secoli di cultura imposta sessista e maschilista, e che a mio parere le sue valutazioni espresse in conferenza non sono obbiettive, ma soffrono di questo condizionamento.

Cosa è il “genderismo”? Sarò lieta di spiegarlo e di discuterne in contraddittorio se mi sarà mai richiesto e/o consentito.

 

Genova 10 maggio 2005

 

 

                                                                                  Mirella Izzo

                                                     Presidente nazionale Crisalide AzioneTrans - onlus