XIV LEGISLATURA


PROGETTO DI LEGGE - N. 2939

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Onorevoli Colleghi! - La proposta di legge che si presenta mira ad introdurre nell'ordinamento italiano quella che la legge tedesca (la legge sul cambiamento dei prenomi e sulla determinazione dell'appartenenza sessuale in casi particolari del 10 settembre 1980 - Gesetz uber die Anderung der Vornamen und die Feststellung der Geschlechtszugehorigkeit in besonderen Fallen - Transsexuellengesetz - TSG, BGB1., 1980, I, 1654) definisce "Kleine Losung", piccola soluzione, ovvero la possibilità per la persona transgender o transessuale nella fase di transizione di adeguare il nome all'identità psico-fisica ed all'aspetto esteriore.
La legge 14 aprile 1982, n. 164, e successive modificazioni, che disciplina il cambiamento di sesso, pur essendo portatrice di indiscutibili princìpi di civiltà giuridica, non è sufficientemente chiara nel definire la problematica del cambiamento del nome.
La giurisprudenza è pressoché unanime nel disporre la modificazione del nome contestualmente alla rettificazione degli atti dello stato civile una volta avvenuto l'intervento di riattribuzione medico-chirurgica dei genitali preventivamente autorizzato con sentenza del tribunale (benché non manchino casi nei quali sia stata autorizzata la rettificazione degli atti dello stato civile e del nome pur in assenza di intervento chirurgico già autorizzato ma non realizzato a causa delle condizioni di salute dell'interessato - tribunale di Roma, 18 ottobre 1997 - o casi di modificazione del nome quando il nome scelto fosse in qualche modo ambivalente, e non fosse inequivocabilmente attribuibile ad un genere).
Tanto la soluzione del legislatore, quanto l'orientamento dei giudici non tengono tuttavia in considerazione le problematiche legate alla difformità tra l'identità psicofisica e l'aspetto esteriore da un lato ed il nome dall'altro, difformità che caratterizza stabilmente (nel caso di transgenderismo, quando il soggetto raggiunge un equilibrio psico-fisico mediante la modificazione dell'aspetto esteriore e dei caratteri somatici secondari senza che si renda necessario l'intervento di riattribuzione chirurgica dei genitali ovvero nel caso in cui le condizioni della persona transessuale rappresentino ostacoli all'intervento) o temporaneamente (nel periodo della transizione, che ha inizio con le terapie ormonali e la modificazione dei caratteri sessuali secondari e si conclude con l'intervento, e che ha una durata "fisiologica" minima di due anni, che spesso si raddoppiano o triplicano a causa dell'inadeguatezza del Servizio sanitario nazionale) la vita della persona transessuale o transgender e che molto spesso costituisce una causa di stigmatizzazione sociale e di discriminazione ed un grave ostacolo nell'accesso al lavoro. E' fatto noto, infatti, che le persone transessuali e transgender, soprattutto allorché la condizione personale sia resa evidente dalla discordanza tra dati anagrafici ed aspetto esteriore, siano oggetto di frequenti e ripetute situazioni di discriminazione. Ciò accade in particolare in tutte quelle circostanze in cui il singolo sia tenuto ad esibire un documento d'identità o comunque a rivelare il proprio nome anagrafico, con conseguenze rilevanti sul piano dei diritti fondamentali che l'ordinamento ritiene degni di tutela; a questo riguardo è molto importante tornare nuovamente sulla questione dell'accesso al lavoro, ambito nel quale le persone transessuali sono di fatto fortemente penalizzate, a dispetto di condizioni economiche spesso precarie e sfavorevoli a causa degli ingenti costi che le stesse devono affrontare nel corso della transizione (basti pensare, per portare un esempio, ai costi degli interventi estetici, indispensabili nell'adeguamento dell'aspetto esteriore al sesso psicologico dell'individuo, e non certamente legati ad una scelta estetica fatta per piacere o "capriccio"), pur in assenza di un supporto di qualsiasi tipo che nella maggior parte dei casi viene a mancare proprio dalla famiglia d'origine.
L'esperienza che deriva dal vissuto quotidiano induce a ritenere che il nome, insieme all'aspetto esteriore, sia l'elemento che più di ogni altro distingue l'individuo nell'ambito delle sue relazioni sociali ad ogni livello, sino alla configurazione di nuovi ruoli e di nuovi rapporti sociali che si fondano principalmente su quelle caratteristiche e concorrono primariamente a formare l'identità sessuale dell'individuo. Nei rapporti quotidiani la persona viene individuata in relazione al suo aspetto ed al suo nome in primo luogo: non è un caso il fatto che la persona transessuale che inizia il processo di transizione senta l'esigenza di attribuirsi un nuovo nome che concordi con il sesso psicologico. E' evidente quindi che la discordanza tra aspetto esteriore e nome concorre pesantemente a determinare la stigmatizzazione e la discriminazione nei confronti dei soggetti transessuali prima ancora e più frequentemente, in ragione della maggiore evidenza, della discordanza tra nome e sesso anagrafico. Non soltanto: prendendo ancora in considerazione l'ambito dell'accesso al lavoro emerge come la sola rettificazione del nome già sia strumento efficace per individuare e contrastare atti discriminatori nei confronti del candidato transessuale, che sinora, invece, troppo spesso vengono oscurati e ricondotti alla legittima scelta del datore di lavoro; sebbene infatti all'atto dell'assunzione sicuramente emergerebbe la discordanza tra sesso anagrafico e nome, e quindi la condizione personale del transessuale, è anche vero che in detta fase il candidato avrebbe già superato positivamente una selezione: in tale contesto un improvviso rifiuto del posto di lavoro sarebbe facilmente riconducibile alla presa di conoscenza della condizione personale del candidato e potrebbe pertanto riconoscersi con minore difficoltà il trattamento discriminatorio eventualmente subìto.
E' da sottolineare inoltre il fatto che la disciplina in vigore, in assenza di una specifica previsione sul cambio del nome, induce invece i soggetti che raggiungerebbero un equilibrio psico-fisico a prescindere dall'intervento chirurgico a scegliere forzatamente, con conseguenze facilmente immaginabili sulla personalità dell'individuo, la soluzione "normalizzatrice" al solo scopo di superare i gravi ostacoli alla vita di relazione che derivano dalla difformità di cui si è detto.
La soluzione che si propone con la presente proposta di legge trova sostegno e fondamento nella sentenza della Corte costituzionale n. 161 del 6-24 maggio 1985, nella quale i giudici della Consulta non soltanto hanno riconosciuto la legittimità costituzionale della legge n. 164 del 1982, ma si sono spinti oltre affermando l'esistenza di un diritto all'identità sessuale. La Corte riconosce il "contrasto tra sesso psicologico e sesso biologico" che caratterizza le persone transessuali, ma soprattutto ammette il fatto che il legislatore abbia accolto un nuovo concetto di identità sessuale che tiene conto non soltanto dei caratteri sessuali esterni, ma altresì di elementi di carattere psicologico e sociale, dal quale deriva una "concezione del sesso come dato complesso della personalità, determinato da un insieme di fattori, dei quali deve essere agevolato o ricercato l'equilibrio, privilegiando il o i fattori dominanti". La conformità della soluzione proposta ai princìpi fondamentali del nostro ordinamento è evidente allorché si analizzino appieno i contenuti della decisione della Consulta; la sussistenza di un diritto fondamentale all'identità sessuale si fonda in primo luogo, secondo i giudici, sulla tutela che l'articolo 32 della Costituzione accorda alla salute di ciascun individuo, facendo riferimento ad una nozione di salute in senso ampio, non già unicamente come integrità fisica, e mettendo il principio della protezione della salute psichica degli individui. Tale protezione impone che sia riconosciuto il diritto di ciascuno alla realizzazione della propria identità psico-sessuale la quale, in quanto caratteristica primaria, ma meglio si potrebbe dire fondamentale e portante, della personalità umana, è presupposto indispensabile per lo svolgimento della personalità stessa. In secondo luogo dalla decisione della Corte emerge a chiare lettere il fatto che i giudici riconoscono nell'identità sessuale un elemento essenziale per lo svolgimento della personalità dell'individuo, ritenendo pertanto degno di protezione costituzionale il diritto a tale identità: con riferimento all'articolo 2 della Costituzione, infatti, la sentenza recita che "tale disposto non è violato quando e per il fatto che sia assicurato a ciascuno il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale, da ritenere aspetto e fattore di svolgimento della personalità".
La discordanza tra aspetto esteriore e nome si pone in contrasto con ulteriori diritti che il legislatore in tempi più recenti ha ritenuto degni di protezione da parte dell'ordinamento; si pensi a tale riguardo alla legge 31 dicembre 1996, n. 675, e successive modificazioni, sulla protezione dei dati personali: come è noto, la predetta legge, riconoscendo la sussistenza di un diritto alla riservatezza, si pone come obiettivo la tutela dei dati relativi alle persone fisiche e giuridiche, ma, con riguardo alle prime, prevede una protezione rafforzata e più rigorosa nei confronti dei dati che la norma definisce come sensibili, tra i quali sono indicati quelli relativi alla salute ed alla vita sessuale. E' evidente che, allorché la persona transessuale sia posta nelle condizioni di dover fare conoscere il proprio nome, circostanza che nella vita quotidiana si verifica piuttosto frequentemente, sarà inevitabilmente costretta a mettere in evidenza taluni aspetti della vita sessuale e della salute che la riguardano, venendo pertanto meno la protezione della riservatezza che l'ordinamento garantisce a ciascun cittadino, indipendentemente dalle proprie condizioni personali, che evidentemente non possono rappresentare un discrimine nella tutela dei diritti della persona.
La proposta di legge consentirebbe, come indicato all'articolo 1, alle persone di maggiore età e che si trovano nella situazione descritta di difformità tra l'identità psico-fisica ed il nome, di modificare quest'ultimo conformemente alla nuova identità. Benché la proposta di legge abbia una portata limitata, in quanto non prevede la modifica del sesso anagrafico (come invece avviene in seguito ad intervento di riattribuzione chirurgica dei genitali), è opportuno sottolineare nuovamente il fatto che l'attribuzione di un nome conforme all'aspetto già rappresenterebbe una soluzione adeguata allo scopo di consentire alla persona il normale svolgimento della vita di relazione e di garantire maggiori opportunità di accesso al lavoro.
La proposta di legge prevede che la domanda sia presentata al sindaco del luogo di residenza dell'istante, il quale decide dopo avere sentito l'istante ed avere consultato il medico specialista e lo psicologo che ha in cura l'istante e che sia esperto in materia di disforia di genere. Tale soluzione, lungi dal voler introdurre nel procedimento una sorta di controllo o perizia di carattere medico o psicologico, mira a garantire che la decisione del sindaco sia consapevole ma, allo stesso tempo, non arbitraria, e di conseguenza costituisce una doppia forma di tutela per l'istante, giacché il sindaco non avrebbe ragione di non accogliere la domanda in presenza di un parere favorevole di un esperto che, inoltre, conosce le vicende personali dell'istante.
Una ulteriore previsione volta a garantire gli interessi dell'istante è rappresentata dalla disposizione secondo la quale il giudice tutelare provvede con decreto a convalidare il provvedimento del sindaco: tale convalida costituisce un controllo di legittimità del provvedimento del sindaco stesso. Avverso il decreto del giudice tutelare che rigetta la domanda è ammesso ricorso da parte dell'istante, presso il tribunale competente per territorio, il quale decide in camera di consiglio.
Nel caso in cui la domanda sia accolta, con la proposta di legge si prevede, conformemente a quanto stabilito dalle norme che disciplinano la modificazione del nome o del cognome, l'annotazione del provvedimento negli atti dello stato civile del luogo di nascita, ovvero di residenza o di matrimonio del richiedente.
Considerata la particolare ratio del procedimento previsto dalla presente proposta di legge, l'articolo 3 esclude espressamente che sia data qualsiasi forma di pubblicità al decreto del giudice: tale disposizione costituisce una ulteriore forma di tutela a garanzia dell'istante, giacché anche la sola affissione nell'albo pretorio del comune potrebbe contravvenire alle esigenze di riservatezza dell'istante, esigenze particolarmente forti in considerazione dei rischi di stigmatizzazione cui sono costantemente sottoposte le persone transessuali e transgender.
L'articolo 5 della proposta di legge, che prevede la perseguibilità, ai sensi degli articoli 494 (sostituzione di persona), 495 (falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri) e 496 del codice penale (false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri) di chi, istante o persona terza, faccia uso del nome precedente, ha un triplo significato. In primo luogo mira a salvaguardare la posizione, con particolare riferimento ai rapporti di natura negoziale, della persona stessa o di terzi; in secondo luogo ha lo scopo di tutelare la riservatezza personale della persona che ha cambiato il nome e di reprimere l'uso del nome precedente con intenti diffamatori o discriminatori; infine tende a garantire la correttezza dell'attestazione delle proprie generalità nei confronti della pubblica amministrazione.
Il riferimento all'articolo 93 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, previsto all'articolo 6 della proposta di legge, mira a disporre l'esenzione fiscale del procedimento di adeguamento del nome all'identità psico-fisica della persona, come previsto dal medesimo articolo nei casi di cambiamento di nomi e cognomi perché ridicoli o vergognosi o perché rivelanti origine naturale.
Titti De Simone

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