RASSEGNA STAMPA

Aprile 2005

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30/04/2005 - La Repubblica - CLARA CAROLI
"Il giorno che un chirurgo mi fece donna"
Laura Righi, la prima transessuale italiana operata a Torino nel 1963, racconta la sua vita e tutti i suoi amori

«TESORO - dice - nei momenti difficili della vita ho imparato a guardarmi attorno, mai indietro». L´appartamento di Laura Righi è una casa-boudoir che sarebbe piaciuta a Oscar Wilde. Pareti e rivestimenti hanno il colore del peccato. Ogni stanza è piena di oggetti e ogni oggetto racconta una storia. Difficile tenere il conto delle molte vite di Laura. Innumerevoli i volti delle persone che le hanno popolate, che guardano dalle centinaia di fotografie sparse dappertutto. Molte sono di uomini. Uno più bello dell´altro. L´ultimo fidanzato le ha regalato una villa a Malindi. «Dove vado a svernare due mesi l´anno», racconta. Lei, guardandosi attorno e mai indietro, ha trovato e collezionato di tutto. Ha incontrato poveracci e gente famosa. Ha conosciuto Jean Genet e Marlon Brando, Tennessee Williams e Gustavo Rol. Le pareti sono coperte di disegni e litografie di Enrico Colombotto Rosso, del quale è stata per anni «la modella preferita». La casa è carica di soprammobili e di memorie, ha uno stile decadente e gozzaniano, ma non è kitsch. «Come dice John Waters - spiega Laura - c´è il cattivo gusto e il cattivo cattivo gusto». La cucina è piena di charme, di sapori, di utensili. «Sono stata tre anni con un cuoco di Parigi. Ho imparato tutto da lui. In cucina sono una strega».

Laura Righi a diciassette anni era un ragazzo e frequentava il liceo classico al Margara. Aveva la passione per il teatro ed era un leader. Imponeva a tutti che parte avrebbero dovuto interpretare nel gioco. Per sé sceglieva sempre quella della principessa. Nel ´63 ha deciso di operarsi ed è stata la prima transessuale italiana. Nel ´64 ha sposato l´amore della sua vita, conosciuto sui banchi di scuola molto prima di diventare Laura. Ha iniziato facendo la cucitrice, è entrata nel bel mondo come modella, ha fatto sfilate e pubblicità. Da vent´anni lavora nell´organizzazione del Festival di cinema gay.

Laura, ha mai pensato di scrivere un libro?

«Me l´hanno chiesto in tanti. Mi hanno persino proposto di girare un film, ma io aspetto. Non voglio un libro spazzatura. Voglio una biografia vera, sulla mia esperienza umana».

Qual era, prima, il suo nome?

«Finiva con la "a". L´unica cosa che non ho dovuto cambiare è stata quella».

È stata un´adolescente infelice?

«No, io infelice nella mia vita non sono stata mai. Ero una ragazzina con un´identità sessuale confusa, ma ero serena. Nei giochi volevo sempre fare la parte della femmina. Mi sono sempre sentita una ragazza».

Come arriva all´operazione, nei primi anni 60, una giovane sarta di atelier?

«Non facevo più la sarta. Facevo già la modella, per una stilista di Milano. Mi ero fatta crescere i capelli e avevo iniziato a prendere gli ormoni, mi era spuntato il seno e mi vestivo da donna. Tu mi vedi adesso, ma allora - tesoro - ero uno schianto. Sono stata fortunata, il marito della mia titolare era un chirurgo. Fu lui ad operarmi, qui in Italia, mentre le altre andavano a farsi massacrare a Casablanca o da qualche macellaio di Bruxelles che ti evirava e basta».

Fu un caso clamoroso, all´epoca.

«Sì, fece scandalo. Finii sui rotocalchi. Ci fu anche un processo. Ma il giudice fu clemente e anzi si complimentò con il chirurgo per il magnifico risultato».

È stato difficile far accettare la sua diversità?

«Quando dissi ai miei fratelli che volevo diventare una donna mi mandarono a vivere da sola, in una soffitta. Quando spiegai alla mia datrice di lavoro che non ero una donna svenne, mentre l´uomo che sarebbe poi diventato mio marito si alzò da tavola, al ristorante, e se ne andò. Ma tutti poi compresero. E accettarono. Erano altri tempi. Il trans non aveva ancora l´alone di perversione che ha oggi. Non era calata la barbarie degli anni 70, con la droga, la prostituzione. Allora eravamo considerati ermafroditi, creature mitiche, divine».

Cosa pensa delle drag queen?

«Fanno parte di questo grande baraccone che è la vita. Aveva ragione Fellini».

Ha mai pensato di adottare un bambino?

«Un transessuale che si lamenta per la mancata maternità è un folle».

E stata molto amata, Laura, nella sua vita?

«Sì, molto. Perché sono sempre stata me stessa, autentica. Ho avuto tante storie, tutte belle, tutte di grande sentimento. Ogni volta che ho percepito la curiosità perversa, il voler vedere cosa c´è sotto, sono sempre scappata».

Di che segno è?

«Scorpione ascendente scorpione, segno molto spigoloso. Ma con gli anni ho imparato a smussare gli angoli».

Conosce una brava cartomante?

«Non ci vado. Non possiamo delegare ad una carta il nostro destino».

Una tipica risposta da uomo.

«E perché no?».

VIZI URBANI - Il dilemma dei tacchi

VERA SCHIAVAZZI

Scritto a Roma, sarebbe suonato quasi provocatorio: «Desideriamo invitarla… alle 11,30 a Palazzo Reale… la preghiamo cortesemente, su richiesta della Soprintendenza, di non indossare scarpe a tacco alto». A Torino, l´appello (lanciato per la presentazione di uno sponsor olimpico) non ha turbato nessuno: chi si sognerebbe di presentarsi con stiletti temibili e aguzzi a Palazzo Reale? Il tacco alto e sottile, oltretutto, è tendenzialmente di destra e non è questo il clima del momento. Superato il problema organizzativo (ogni signora torinese comme il faut possiede almeno 3 paia di scarpe piatte, uno dei quali bicolore per la mezza stagione) resta un interrogativo: chi o che cosa quei tacchi avrebbero potuto danneggiare?

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30/04/2005 - La Repubblica - EMANUELA AUDISIO
Quel dolore dentro di Erik la sciatrice diventata uomo
... Con un´altra identità, con un altro sesso. Ma sempre sotto gli stessi schizzi di derisione di chi ti giudica un mostro, uno sgorbio, uno scherzo della natura...

LA STORIA - Festival di Trento, un film sull´austriaca che nel ‘66 vinse i mondiali - Nella mountain bike un altro caso Ai Giochi 2008 i transgender

Lui, lei, raccontano; la fatica che si fa per capire chi si è. Anche se farlo significa scendere dal podio. «Come si cambia per non morire», cantava Fiorella Mannoia. Sì. «Per non soffrire», sì. Con un´altra identità, con un altro sesso. Ma sempre sotto gli stessi schizzi di derisione di chi ti giudica un mostro, uno sgorbio, uno scherzo della natura. Il terzo sesso, sì, i transessuali. Oggi si dice transgender. Ieri: «L´uomo con i seni». La storia dello sport ne è piena, anche se li nasconde. Meglio non imbarazzare. Citius, altius, fortius, il motto olimpico. Tre superlativi, tutto di più, nulla che sia a metà strada. Il festival di Trento invece racconta le storie di Erika che diventò Erik e di Michael che è diventata Michelle. Una sciatrice che da bambina odiava le bambole, un ciclista che invece le amava.

Erika Schinegger, austriaca, nel 1966 a Portillo in Cile vince la discesa ai Mondiali di sci. E´ una ragazza che non ha mestruazioni, senza seni, cammina da uomo. «A Natale volevo il trattore come regalo, mi davano sempre la bambola, piangevo, un giorno l´ho tirata fuori dalla finestra e mi sono sentita meglio». Sì, capita, il lancio della bambola, un classico. «Venivo da una famiglia contadina, avevamo una fattoria, 7 cavalli, 60 mucche, maiali e capre, i miei avevano vergogna a farmi domande. Mi piacevano le donne, pensavo di essere lesbica, davo cinque scellini alle ragazze perché si spogliassero, godevo davanti ad un corpo di donna. Le altre si mettevano in pantaloni, io sempre in gonna, volevo accentuare la mia femminilità». Un panettiere, amico di Erika: «Non mi sentivo a suo agio con lei, non mi veniva voglia di provarci». Un´avversaria: «L´ho presa per le spalle, non era come noi, pesava dieci chili di più, i muscoli del suo ginocchio erano diversi dai nostri». Sua madre: «Era forte, ma non come una donna».

Erika vinceva sotto sguardi pieni di dubbi, si sentiva sbagliata, senza futuro, ma i suoi dottori stavano zitti, se vai sul podio piace a tutti, le medaglie spengono ogni temporale. A un controllo del sesso, un tampone di saliva, viene fuori che Erika non è una donna. «Tutti mi voltarono le spalle, nessuno voleva più avere a che fare con me, pensavano che la colpa fosse mia, ero la grande truffatrice. Falsa come Erika, falsa come campionessa, smisi anche di andare in chiesa. Scoprii di avere un testicolo che non era sceso, nell´addome. Quattro operazioni, tre settimane di convalescenza, nemmeno un cane a farmi coraggio e un tormento dentro: chi ero, chi sarò? Ci ho messo un anno per diventare finalmente una persona».

Ora si chiama Erik e si concede quello che prima non poteva. Va a trovare le sue vecchie avversarie, cerca di spiegarsi, lui non ha ingannato nessuno, non ha letto Leopardi, sì, è la natura che a volte ti prende alle spalle. Le rivali di una volta l´abbracciano, ma non capiscono: dov´è quell´Erika che le superava sempre? «Morta, uccisa, non c´è più». Loro non urlano, dicono solo: è triste. Sì è triste sapere che hai perso da un fantasma, è come se non avessi mai gareggiato. Erik da uomo non ha più vinto, si è sposato due volte, ha avuto una figlia. Renate, la prima moglie, ha anche detto: «Mi aspettavo una persona sensibile, che capisse le donne, ho trovato un super-macho». Dura 86´ il filmato di Kurt Mayer, in programma a Trento il 2 maggio.

L´altra lei è Michelle Dumaresq, canadese, campionessa attuale di mountain-bike, ex lui, ex Michael. Nata uomo, «100 % donna», si chiama il documentario di Karen Duthie. Michelle ha scelto il sesso che andava bene con lei, fa niente se era un lui, si è sottoposta a cure ormonali per perdere muscoli, forza, testosterone, tutto quello che le sue avversarie cercano in palestra. «Just like a woman», cantava Bob Dylan. Michelle per vincere deve perdere se stessa, il suo corpo, fare a meno. Parlano le sue rivali, donne, sesso certo, pietà incerta: «Non vale, ci ruba il successo, dove finiremo di questo passo, una così dovrebbe dare indietro la medaglia, farsi da parte, non è giusto, cosa vuole?» Né Erik, né Michelle hanno l´arroganza della scoperta o l´orgoglio della diversità. Parlano come persone ferite, pensavano che lo sport fosse più sportivo. Dice la madre di Michelle, mentre in cucina taglia le verdure: «C´è un mondo là fuori fatto di persone così che noi continuano a ignorare e a disprezzare. Chiedono solo di essere quello che sentono di essere e non quello che gli altri pretendono da loro». A Pechino, nel 2008, per la prima volta i Giochi Olimpici apriranno ai transgender. «Come si cambia», sì. «Per ricominciare», sì.

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14/04/2005 - Comunicazione - Maria Ornella Serpa
Il ventitreesimo anniversario della Legge n. 164 del 14 aprile 1982
...la legge di cui oggi celebriamo un maturo anniversario non soddisfa ancora ogni esigenza che viene postulata dai diversissimi temi/problemi concernenti l'identità di genere...

Carissim*,

nella giornata odierna, con commosso e fervido orgoglio invitiamo tutt* a celebrare, idealmente unit*, il ventitreesimo anniversario della Legge n. 164 del 14 aprile 1982.
Con il varo di questa disciplina giuridica sulla “riattribuzione anagrafica del sesso e del nome” il nostro Ordinamento, grazie ad una coscienza politica libera e consapevole, accoglieva in seno al suo sistema una innovazione degna dei tempi; essa era infatti foriera di nuovi principi e norme che attuavano quelli già assunti in diversi atti di natura politico-giuridica sia in ambito internazionale che nazionale risultando, nel tempo, anche la pratica traduzione di molti degli intangibili “Principi Fondamentali” scolpiti nella nostra amata Costituzione Repubblicana del 1948, figlia del lucido dolore dei nostri Costituenti.

Nel testo normativo, di cui ricorre oggi il fausto anniversario, trovano infatti applicazione immediata molti dei fondamentali diritti posti a tutela della persona umana e della sua dignità come:

- il diritto ad un'esistenza consapevole ed autodeterminata;

- il diritto al nome;

- il diritto all'identità sessuale e specificamente di genere;

- il diritto a partecipare ad un contesto socio-culturale libero e pluralista;

- il diritto al lavoro;

- il diritto a formare un nucleo famigliare idoneo ad una serena crescita spirituale e materiale della persona.

Da tempo ed oggi sempre di più i Liberi Cittadini dei Liberi Stati, emancipandosi dai lacciuoli di una asfissiante cultura moralistica, stanno acquisendo maggiore consapevolezza circa la propria essenza e la propria dignità chiedendone, a mano a mano, riconoscimento e rispetto; su questa scia, grazie soprattutto al tenace e difficilissimo impegno delle persone che crearono e parteciparono ai primi movimenti di liberazione sociale e culturale cui va tutta la nostra riconoscente simpatia e solidarietà, stiamo inesorabilmente scardinando e superando, su svariati versanti, i rigidi ed abietti schemi imposti, specie in materia sessuale e di genere, da una cultura millenaria violenta e prevaricatrice la quale, pur risultando oramai pateticamente anacronistica, specie nei momenti contemporanei è ancora vitale e coriacea nei suoi ultimi rantoli.

Abbiamo comunque coscienza del fatto che la legge di cui oggi celebriamo un maturo anniversario non soddisfa ancora ogni esigenza che viene postulata dai diversissimi temi/problemi concernenti l'identità di genere; il nostro pensiero va specie a quelle persone che da troppo tempo attendono una regolamentazione che istituisca anche in Italia la cosiddetta “piccola soluzione” ossia la possibilità di poter chiedere legittimamente ed umanamente la riattribuzione di un nome adeguato rispetto al genere di arrivo a prescindere dall'assolvimento dei gravami medico-chirurgici previsti dall'attuale normativa; ecco perché l'odierno omaggio vuole essere, nelle nostre intenzioni, anche uno stimolo a che tutt* noi ci impegniamo compatt* e fort* per trovare il modo di poter dare a ciascuno le opportune risposte tenendo anche presente che i frutti del nostro impegno hanno anche un elevato valore morale ove risultano come una realizzazione in concreto di quei principi universali sui quali si incardinano le nostre cosiddette democrazie occidentali e le nostre società evolute.

Sia quindi la L. n. 164/'82 un approdo per una nuova partenza alla conquista di nuovi diritti e, oltre che normativa vigente, venga considerata anche come un preziosissimo documento a testimonianza dell'abbattimento lento ed inesorabile dell'orrido muro ideologico che ancora intralcia lo sviluppo pieno e sereno della persona umana.

Vi invitiamo a diffondere questo comunicato a quante più persone conoscete per sottoscrivere

l'orgoglio di tutt* noi di essere, esserci e partecipare

Diciamo coralmente:

- agli onorevoli membri del Parlamento ancora italiano

- agli onorevoli membri del Consiglio dei Ministri nazionale, qui sait?!,

- agli operatori mediatici

- ed a quant'altri leggono

“LA PICCOLA SOLUZIONE E' GIUSTA, UMANA E POSSIBILE. GRAZIE”

per il M.I.T. – BOLOGNA

Maria Ornella Serpa

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12/04/2005 - Gay.it - Roberto Taddeucci
POTERE TRANS IN NUOVA ZELANDA
Esclusiva: parla Georgina Beyer, prima transessuale al mondo ad essere stata eletta prima sindaco per poi entrare anche in Parlamento. Dalla strada ai centri sociali fino alla politica.

WELLINGTON - Il caso Georgina Beyer è uno di quelli che a prima vista possono far dire: vabbe' queste cose succedono soltanto all'estero, una transessuale in parlamento, ma figuriamoci... Forse è vero, almeno per il momento. Tuttavia anche nel nostro paese abbiamo già dei parlamentari apertamente omosessuali e le recenti elezioni regionali con l'affermazione a sorpresa di Nichi Vendola delineano una tendenza all'apertura verso incarichi anche di altro genere per esponenti della comunità LGBT. Non perché si debba eleggere qualcuno solo perché è gay o lesbica, ma perché è tempo che finisca il precetto per cui NON si deve votare per qualcuno solo per il fatto che lo sia.

Nel caso dei transessuali la vicenda umana di Georgina Beyer (in foto con Lucy Lawless, l'attice che interpreta Xena) è esemplare: nata nel 1957 da genitori Maori, è già nel guinnes dei primati per essere stata la prima transessuale al mondo ad essersi conquistata prima la poltrona di sindaco, dal 1995 al 2000, e poi quella di parlamentare. Ha scritto una biografia intitolata "Change for the better" nella quale ricostruisce la propria storia non nascondendo neanche le pagine meno gloriose, come i giorni della vita di strada per accumulare i soldi necessari all'operazione. Recentemente proprio nel parlamento neozelandese si è impegnata a fondo nell'approvazione della nuova legge sulle Unioni Civili, che entrerà in vigore a fine aprile. Una grande conquista per l'affermazione del principio di uguaglianza e della quale non potevamo non chiederle.

Come si è sviluppato in Nuova Zelanda il dibattito per introdurre le unioni civili aperte anche alle persone dello stesso sesso?

Georgina Beyer(in foto con il Primo Ministro Helen Clarke): Piuttosto bene direi. Tutti i parlamentari erano lasciati liberi di esprimere un voto secondo coscienza. L'unione civile fornisce un'alternativa che, sebbene chiamata in modo diverso, fornisce esattamente gli stessi diritti dal punto di vista legale di un matrimonio. L'argomento principale di chi si opponeva naturalmente era che l'unione civile è equivalente al matrimonio e dunque ne sminuisce lo status, ritenendo che il matrimonio sia l'unico legittimo passaggio attraverso cui si costituisce una famiglia, pensiero che mi trova in sommo disaccordo. Il matrimonio attraverso i secoli ha dimostrato abbondantemente di poter essere inaffidabile e non sempre il più solido fondamento sul quale poter far crescere i figli. Ma è vero dire che solo l'unione tra un uomo e una donna può produrre una discendenza, cosa che può essere messa in discussione solo dalle moderne tecniche di fertilizzazione a cui si può magari ricorrere. Premesso questo non concordo affatto con chi considera le unioni tra due persone dello stesso sesso come "meno famiglia" delle famiglie eterosessuali. Il problema sta solo nell'aborrire moralmente il fatto che ci potrà essere un altro tipo di unione legalmente riconosciuta, alternativa (non sostitutiva) del matrimonio. Le unioni civili non avranno alcun effetto sulle coppie sposate. Se sei una persona che è sposata il giorno dopo che sarà entrato in vigore il nuovo codice non ci sarà niente di diverso che potrà avere effetto alcuno, neanche minimo, sul tuo matrimonio.

Un dibattito che sta avvenendo in varie democrazie: l'unione civile è davvero equivalente al matrimonio?

Su questo punto anche all'interno della comunità lgbt ci sono pareri diversi: per molti la formula dell'unione civile è ritenuta sufficiente mentre altri aspirerebbero ad ottenere il vero e proprio "matrimonio gay". Coloro che dicono che solo col diritto al matrimonio saremo veramente e definitivamente uguali partono dall'assunto che il matrimonio è senza ombra di dubbio il solo ed assoluto metodo attraverso cui si può avere solennemente riconosciuta una relazione, ed io francamente non sono molto d'accordo su tutto ciò. Rispetto il matrimonio per ciò che ha significato per la civiltà ma vediamo di non dimenticare che nel corso della storia ha avuto a che fare soprattutto con le proprietà, i soldi e i diritti ereditari. È solo in tempi relativamente recenti che il matrimonio è diventato di più di ciò che era stato per tanto tempo.

Veniamo alla sua vicenda. Com'è avvenuto il suo ingresso nell'arena politica?

Ero disoccupata e attraverso un programma governativo volto all'apprendimento di cose che potevano essere utili nella vita lavorativa per due anni ebbi l'opportunità di lavorare in un centro sociale. Alcuni dei miei colleghi mi incoraggiarono a proporre il mio nome nelle liste per le elezioni dei consigli comunali: io veramente non ci avevo pensato ma qualcuno deve aver visto in me un qualche tipo di qualità che poteva essere utile nell'ambito di un'amministrazione locale. Pensai che sarebbe stato interessante partecipare a questa esperienza pubblica per vedere se potevo per così dire spingere un po' in avanti certi limiti... una persona come me che partecipava nel processo democratico del paese. Mi sono detta: vediamo di mettere alla prova la natura umanitaria degli elettori. Il 1993 fu l'anno della mia elezione nel consiglio comunale, un messaggio chiaro dall'area rurale che rappresentavo. Nel 1995 mi fu proposto di candidarmi come sindaco del distretto di Carterton. Accettai e fui eletta con il 48% dei voti. Alle successive elezioni fui riconfermata sindaco col 90% dei voti.

La sua vicenda personale le è stata di ostacolo?

Prima di tutto credo sia importante ricordare che io sono sempre stata "out" e apertamente nota come transessuale, per cui il mio passato e la mia storia personale sono sempre stati ben noti a tutti. È una cosa importante da ricordare perché può spiegare il mio successo in politica: tutti i miei panni sporchi erano già esposti per cui coloro che mi hanno votata per un incarico pubblico sapevano esattamente chi ero, il che per me è stata un'esperienza molto liberatoria. Sono la persona che sono ma questo non mi ha impedito di intraprendere la carriera politica. In realtà c'è stato un tempo in cui mai e poi mai mi sarei sognata non dico di essere eletta ma neanche di avere l'opportunità di partecipare ad una consultazione politica, essendo non solo un transessuale ma anche una Maori, dunque membro della popolazione indigena neozelandese, il che suppongo possa essere visto come uno svantaggio in certi ambienti...

Che consigli avrebbe per i movimenti e le associazioni che operano in paesi che, come l'Italia, ancora hanno un lungo percorso da compiere sulla via della parità legale, e dunque sociale, dei propri cittadini che appartengono alla minoranza lgbt?

Di importanza fondamentale sono le leggi antidiscriminazione, che costituiscono le fondamenta sulle quali si accede a tutte le altre riguardanti i diritti civili, ad esempio quella per il riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso. Questo richiede un approccio ponderato ed intelligente in partiti già consolidati, coltivando l'arte della diplomazia. In Italia è certamente importante che abbiate dei politici apertamente gay che siano visibili e possano fare da modello, non solo per la comunità gay ma anche per costituire un "ponte" attraverso cui poter parlare al resto della società, spiegando come noi possiamo contribuire ad arricchirla. Per coloro che hanno il coraggio, l'energia e l'impegno di lottare per il cambiamento la via della politica mi sembra un passo fondamentale. È importantissima la presenza di membri del parlamento che siano apertamente gay, sono da conservare cari perché se si perdono queste figure di rappresentanza si perde anche la possibilità di dare voce alla nostra comunità in quell'importante arena. Non siamo una malattia, non siamo un disordine, siamo quello siamo e non facciamo del male a nessuno. Le opportunità ci sono per essere persone produttive e che fanno qualcosa per il loro paese, senza dimenticare che paghiamo anche le tasse per cui dobbiamo poter avere il diritto di essere cittadini a pieno titolo, dunque con pari diritti. Sono argomenti forti, sensati e convincenti, argomenti che lasciano i moralisti fondamentalisti che sono contro di noi capaci solo di argomentare con sprezzanti, illogici, nonché assai poco cristiani punti di vista.

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08/04/2005 - Il Resto Del Carlino - Rita Bartolomei
‘Io, manager e transessuale'
Storia di Stefania: «Quanti malintesi e paure. L'intervento? Mi spaventa» - CONVEGNO curato dall'Università appuntamento mondiale su un ‘disagio d'identità' in crescita

BOLOGNA — Sai quanti malintesi, ancora. «Basta andare al supermercato. Pagare con una carta di credito. Lì sopra c'è scritto ‘Stefano'. Per l'anagrafe sono sempre un uomo. Perché non ho fatto l'operazione. Sono arrabbiata, con 'sta legge. Quell'intervento mi spaventa. Ci sto pensando, certo. Intanto prendo gli ormoni. Ho cominciato cinque anni fa. Sono andata due volte dal chirurgo plastico. Per addolcire il viso. Sul seno no, ho qualche resistenza. Non voglio essere notata. E poi ho sempre pensato: che impaccio, averlo». Sorride: «Sì, forse questo è un ragionamento da uomo». Stefania Castelli è una trans di 40 anni. Manager. Nata a Venezia, vive a Padova. Papà avvocato, mamma femminista. Sinistra impegnata. Incomprensione lo stesso, però, al momento della rivelazione. Era un ragazzo quando scappò a Bologna la prima volta. Più osterie e jazz che esami all'università. Quando ci tornò era un uomo adulto che voleva diventare donna. Alta, occhi chiari, profilo alla Virginia Woolf. Indossa jeans morbidi, scarpe senza tacco dal taglio maschile, maglioncino di un'eleganza vezzosa, trucco leggero. Mentre sul palco di Santa Lucia si alternano i relatori, dà gli ultimi ritocchi sul portatile «a un progetto europeo sul genere di qualità».

Se le dicono che è una bella donna...?

«Magari! Si fa una fatica! Bisognerebbe cominciare a sedici anni».

Troppo presto, forse, per avere le idee chiare.

«Per la scelta sì. Per fare psicoterapia, no. A questo servono gli scienziati come Benjamin. Per divulgare un metodo scientifico. Un protocollo. C'è ancora di tutto, in giro. Dagli stregoni alla chirurgia sperimentale».

La sua è una famiglia borghese di sinistra. Come l'ha presa?

Scherza: «All'inizio te pregano in ginocchio di fare il gay. Ci ho provato. A 17 anni ho avuto un ragazzo. Non funzionava. Gli omosessuali sono maschi. Oggi i miei hanno capito. Credo. La mamma se mi vede uscire con il rossetto mi sgrida: ma cosa fai, non va più di moda».

Lei è felice?

«Mi sento serena».

Ha un fidanzato?

Arrosisce.«No, purtroppo. Questo è un problema che devo risolvere. Sono bloccata. Ho tutte le paure di una donna ma so anche come ragiona un uomo. Certi uomini. Sono terrorizzata. Mi dico: e se incontro uno così? Allora mi butto sul lavoro».

Cosa pensano di lei quelli che frequentava prima?

«Qualcuno l'ho perso di vista. L'ultima fidanzata è diventata la mia migliore amica. Una volta mi ha accompagnato lei dal chirurgo plastico. Ora sta per sposarsi. Questo mi dà il senso del tempo che passa. Mi dico: accidenti, devo decidermi anch'io».

Non pensa che la sua resistenza all'operazione possa essere psicologica?

«No, quella parte è già risolta. Ho fatto quindici anni di psicoterapia».

Si veste sempre così, con i pantaloni?

Sorride. «Un anno fa ho comprato una gonna. Forse era troppo presto. L'ho provata in casa, non l'ho mai indossata fuori. E' un segnale. Io non sono pronta»

Ogni mese due operazioni

BOLOGNA — C'è un uomo che si è operato, è diventato donna ma oggi ci ha ripensato. E vorrebbe tornare indietro. E' l'unico caso, confessa Marcella Di Folco (nella foto), presidente del Mit, il movimento italiano transessuali. Presidente dall'inizio, cioé dal 1988. Più tardi, undici anni fa, il Mit ha aperto un consultorio in via Polese. Frequentato da 370 persone, oggi. Il responsabile scientifico è una psicologa. Affiancata da altre tre colleghe e da una endocrinologa. Che il ‘disturbo di genere' sia in aumento ovunque è testimoniato dall'attività di questo centro non così piccolo, alla fine. «Da almeno tre anni — spiega la Di Folco — riceviamo tre-quattro richieste a settimana. Sono persone che ci chiedono di seguirle. Sono troppe. Noi non sappiamo più come fare. Anche perché il rapporto dura una vita. Alla fine non si interrompe mai. C'è sempre bisogno di fare qualche controllo. Di tornare a un colloquio, a una visita...».

Il percorso che inizia nel consultorio del Mit finisce all'ospedale Sant'Orsola. «Ogni mese — ricorda la Di Folco — si fanno due operazioni». Una per genere: da uomo a donna e il contrario. L'intervento è coperto dal servizio sanitario nazionale. Mentre si devono invece pagare le cure ormonali. Spiega la presidente del Mit: «Le persone transessuali devono affrontare un percorso psicologico e chirurgico che è consolidato in tutto il mondo. Ma non è riconosciuto ufficialmente come terapia per il disturbo dell'identità di genere». Tra parentesi: l'essere transessuali è contemplato nel manuale americano delle malattie mentali. Ultima edizione datata al 2002.

ri. ba.

CONVEGNO - Mariela Castro, psicologa: «A Cuba non li discriminano»

In platea tra medici e psicologi sbuca anche la nipote di Fidel

BOLOGNA — Se chiedi al professor Walter Meyer, psichiatra texano, quanti siano i trans — o le trans — nel mondo, lui porta le stime degli scienziati. Da qui risulta che «ogni undicimila abitanti c'è un uomo che vorrebbe essere donna — sostiene il presidente della ‘Harry Benjamin', associazione scientifica internazionale sulla disforia di genere —. Più raro il contrario: solo una donna su trentamila si sentirebbe uomo». Sul palco di Santa Lucia, tempio della cultura universitaria, il genere ‘trans' spazia dal Giappone alla Polinesia. Passando per l'Inghilterra e Cuba: ecco Mariela Castro Espin, la nipote di Fidel. Psicologa, è qui per presentare una ricerca del suo centro nazionale di educazione sessuale.

Per il 19esimo congresso dell'‘Harry Benjamin' sono arrivati 190 delegati da tutto il mondo. Chirurghi, psicologi, endocrinologi, rappresentanti delle associazioni che si battono per i diritti civili. Naturalmente c'è il Mit di Marcella Di Folco. Il Movimento italiano transessuali, con l'Università di Bologna, ha contribuito a organizzare il convegno. Si tenta un dialogo. Anche con la religione. Stavolta più sottovoce, magari. Poche telecamere e pochi fotografi. Perché sono giorni speciali, questi. Gli occhi del mondo puntati su Roma.

Meyer insiste: «Stiamo parlando di un problema medico. Non di un peccato». L'Italia, conclude, sta in mezzo, tra i paesi che accettano i trans e quelli che li mettono ai margini. In questi giorni di congresso si cercherà anche di «stabilire standard di cura sul trattamento». Chiarisce Paolo Valerio, che insegna psicologia clinica all'Università Federico II di Napoli: «Tanti vorrebbero essere operati subito. Invece si è visto che è necessaria una preparazione psicologica, prima». Che può essere anche molto lunga. Intanto gli scienziati registrano che «l'area del disagio di genere è in aumento in tutto il mondo occidentale e anche nei paesi asiatici — spiega Valerio — . In Giappone, l'ha appena detto un collega, da poco sono consentite le operazioni di cambio sesso».

Un intervento fa luce sui femminielli. Confronto tra Messico e Napoli. Mariela Castro suscita curiosità anche per la parentela. Ma si schermisce: «Lui per me resta Fidel». Ma sono liberi di scegliere, i transessuali a Cuba? Giura di sì. Spiega: «Possono cambiare nome anche sul documento. Anche prima dell'operazione».

ri. ba.

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