"OMOFOBIA E TRANSFOBIA: DUE PAROLE DIVERSE PER DUE SIGNIFICATI DIVERSI PER DUE ORIGINI DIVERSE
MA CON UN UNICO RISULTATO: L'ODIO ED IL PREGIUDIZIO "

Parte prima: i dati di fatto

19 Luglio 2005: In Iran vengono giustiziati per mano dello Stato due ragazzi (di cui uno minorenne). Reato? Omosessualità.
La notizia crea sdegno in tutto il mondo occidentale. Ovunque vengono organizzate manifestazioni di protesta presso i consolati e le ambasciate Iraniane sparse per il mondo.
27 Luglio 2005: il popolare quotidiano inglese "The Guardian" pubblica un reportage nel quale racconta come l'Iran sia diventato la capitale delle rettificazioni chirurgiche sessuali per persone transessuali di tutta l'area del medio-oriente, araba e persino degli stati ex sovietici dell'Europa dell'Est.
Un'"antica" fatwa dell'ayatollah Komehini autorizza le persone che nascono o si sviluppano con una identità di genere opposta a quella di nascita a seguire la propria natura interiore e quindi ogni tipo di intervento che favorisca la transizione sessuale. Certo non una fra le "fatwe" più popolari, ma che costituisce comunque legge in uno stato islamico.
Per molti anni si è voluto ignorare la realtà della "transfobia", omologandola ed inserendola all'interno del termine "omofobia", come fosse la stessa cosa, nascesse dagli stessi pregiudizi e in qualche maniera si identificasse con essa.
E' notizia di "ieri" che la neo costituita "giornata mondiale contro l'omofobia", fortissimamente voluta dalle associazioni gay e lesbiche europee, intenda includere implicitamente anche la transfobia.
A nulla è servito il mio personale intervento presso Arcigay Nazionale affinché venisse cambiato il nome a questa celebrazione in "giornata mondiale contro l'omofobia e la transfobia" o "contro la trans/omofobia" (o omo/transfobia se si preferisce).
"La cosa è già decisa a livello europeo e non si può più intervenire", la risposta (ah dove è finito il vecchio proverbio secondo cui a tutto c'è rimedio fuorché alla morte?). In realtà il punto era un altro: il mio intervento deve essere sembrato più una sorta di "orgoglio trans formale" piuttosto che una richiesta con una base sostanziale.
Se omofobia e transfobia fossero davvero equivalenti come potrebbe esistere una situazione come quella Iraniana? O ancora: come potrebbe essere accaduto che un paese civile e laico come la Gran Bretagna - da decenni aperta al mondo omosessuale - non si fosse dotata di una legge che autorizza il cambio anagrafico di sesso per le persone transessuali fino a un anno fa? E che l'abbia fatto solo dopo aver sborsato molte molte sterline in una sequela infinita di processi persi presso le Corti Europee? Certo oggi la legge britannica è "lo stato dell'arte" mondiale per le legislazioni riguardanti la rettifica anagrafica, ma fino a pochissimi anni fa, il Regno Unito, all'interno della UE, era decisamente uno stato con atteggiamento ben poco omofobico ed estremamente transfobico.
La Chiesa Cattolica, presente massicciamente in un mondo occidentale travolto dalla rivoluzione femminista, ha dovuto cedere molte sue posizioni contro le donne e per questo appare oggi più aperta dell'Islam rispetto alla questione femminile (ma ricordiamo che fu papa Woytila pochi anni fa a dichiarare pubblicamente che il diavolo si serve della donna per tentare l'uomo). Ma nei confronti dell'omosessualità e della transessualità resta ancorata a principi di pregiudizio e chiusura totali.
E' difficile fare paragoni fra Cristianesimo e Islam su questo tipo di questioni perché Stati confessionali cristiani ve ne sono pochi, mentre stati islamici si. Non dimentichiamo però che negli USA, alcuni stati cristiano-fondamentalisti puniscono con la reclusione la "sodomia" e implicitamente o esplicitamente, ovviamente, i rapporti omosessuali.
Se l'Islam in genere (con alcune eccezioni) si dimostra omofobico all'inverosimile e decisamente meno transfobico (persino nello Yemen è consentito il cambio di sesso), il cristianesimo ed il cattolicesimo in particolare tende ad essere leggermente più transfobico che non omofobico. Secondo le ultime indicazioni del papa infatti, è il "comportamento" omosessuale a essere "disordinato" e non necessariamente la persona gay, mentre le transessuali ed i transessuali sono persone disturbate in sé e per sé, addirittura a prescindere dal fatto che compiano o non compiano la transizione. Sfumature, si dirà giustamente, in quanto ovviamente "assolvere" l'omosessuale e condannare la sua naturale espressione sessuale e sentimentale (non dimentichiamolo: un omosessuale, una lesbica, prima di essere omosessuali sono spesso omosentimentali) è un giochetto linguistico degno del miglior Azzeccagarbugli. In ogni caso l'accento sull'esclusione totale dalla vita della Chiesa è espresso in maniera inequivocabile solo per le persone transessuali.
Negli Stati Uniti, in quegli stati più tradizionalisti, lo sdegno nei confronti dei delitti dettati da omofobia verso omosessuali è decisamente maggiore che non per i delitti compiuti verso transessuali.
Se questa pur parziale elencazione di "differenziazioni" fra atteggiamenti omofobici e transfobici dimostra la distinzione netta fra le due situazioni nel macrocosmo del rapporto degli stati e delle loro leggi nei confronti di omosessuali e transessuali, analogamente e con maggior evidenza, tale distinzione è presente nel "microcosmo" dei rapporti interni ad una società e persino nei rapporti interpersonali (il che non vuol dire che non si possa essere tanto omofobici quanto transfobici allo stesso livello, e magari anche xenofobi e quant'altro).
Moltissimi uomini che cercano partner transessuali esprimono fastidio nei confronti dell'omosessualità. Può apparire come una sorta di "autodifesa" del tipo: "stare con una trans non mi rende gay" e talvolta è davvero così. Ma analogo atteggiamento l'ho visto con i miei occhi presente anche in uomini sposati con ex transessuali operate e che vivono in ambiti nei quali possono permettersi quello che in gergo viene chiamato "stealth mode", ovvero uno stato di "invisibilità" rispetto al passato della propria consorte. E in questo caso la storia dell'autodifesa regge davvero poco...
Altre persone provano invece "comprensione" per la condizione trans e considerano l'omosessualità un comportamento pervertito.
Altre ancora, all'opposto, considerano l'omosessualità un comportamento sessuale come altri e la transessualità una perversione o, nel migliore dei casi, una malattia psichiatrica.
Ma c'è di più: una delle categorie storicamente più transfobiche è stata per anni proprio la comunità omosessuale. All'affannosa ricerca dell'omologazione a tutti i costi, molti omosessuali, molte lesbiche, hanno considerato (e considerano ancora, eccome!) le trans la "rovina" del loro mendicare accettazione sociale: troppo vistose, troppo colorate, troppo chiassose... Solo questo? No, non basterebbe a definire transfobica una comunità, semmai semplicemente opportunista. Il punto è che per molti anni era pensiero di massa della comunità omosessuale considerare le transessuali come "omosessuali che per paura di dimostrare la loro diversità, si piegavano all'eterosessualità imposta, trasformandosi in donna", in tal modo risultando - alla fine del percorso - normali eterosessuali (sic!). Un pensiero delirante se solo si pensa un secondo ai costi sociali, economici e di ogni sorta che comporta la transizione e che poi non spiega affatto la presenza di transessuali lesbiche.
E poi come non definire transfobica la decisione che il movimento gay americano prese contro le transessuali e per l'emarginazione di Silvia Rivera (la trans che diede il via alla rivolta di Stonewall, e quindi a tutti i Pride del mondo!), escludendole per anni dall'organizzazione dei "Pride"?

Anche fra le lesbiche/femministe si è insinuato e talvolta con ferocia il germe della transfobia (realtà peraltro tutt'ora presente, a dire il vero, anche per alcune dirigenti del movimento lesbico "organizzato"), non tanto contro le trans, ma contro i trans da donna a uomo, considerati a tutti gli effetti "delle traditrici" (sic!!) del valore del femminile, "vendute" al maschilismo e ai suoi valori anche se in verità fra i trans ftm ho visto ben raramente certi comportamenti di scimmiottamento dei peggiori comportamenti maschili, in particolar modo riguardo l'etica sessuale, così presenti invece in una certa parte della comunità lesbica (mi viene in mente il personaggio - non a caso amatissimo dalle lesbiche - di Shane - la sciupafemmine - nel serial tv "The L Word"). Ha poi dell'incredibile l'"appropriazione indebita" della storia di Brandon Teena raccontata nel film "Boys don't cry. Considerato film lesbico nonostante il protagonista si facesse chiamare con il nome maschile Brandon e nominasse il transessualismo e la transizione. E come se non bastasse lo stesso titolo del film: il boy era lui, Brandon. Un transessuale FtM pretransizione e non una lesbica butch.
Ma anche la comunità transgender non è immune all'omofobia. Non sono poche le trans che considerano i gay effemminati come transessuali che non hanno il coraggio di affrontare la transizione, o altre/i che ripudiano ogni "collateralità" con l'ambiente gay/lesbico (dal quale eppur spesso provengono!).
Di più: transfobici persino i transessuali! Eh si.. bisogna dirlo... E' da pochi anni che è caduto il muro di diffidenza dei trans Female to Male nei confronti delle transessuali Male to Female. Il bisogno di "nascondersi" dei trans, cozzava terribilmente con la visibilità spesso ostentata delle trans. I trans sono seri, le trans no. Questo pregiudizio ha regnato per decenni in Italia. Fino a quando i trans hanno compreso che l'invisibilità comprometteva la loro dignità (perchè l'invisibilità alla fine significa solo una cosa: nascondersi!), e le trans hanno compreso in buona parte che l'ostentazione del "femminile" cancellava, nella sua evidenza delle forme e dei colori, i loro valori interiori e le loro giuste rivendicazioni.
Oggi la transfobia fra transgender è quasi sparita. La transfobia gay verso le trans è cancellata nell'associazionismo gay, molto meno fra i gay "non impegnati" e più socialmente questuanti "normalità". La transfobia lesbica verso le trans è estremamente ridotta e solo il lesbismo separatista mantiene la sua carica transfobica, ma resta invece presente anche a livello associativo la transfobia verso i trans da maschio a femmina.
L'omofobia nell'ambiente trans è totalmente assente nelle sue forme organizzate (se non come reazione verso una certa marginalizzazione talvolta ancora presente dell'associazionismo gay e lesbico nei confronti di quello trans), ma resiste nelle trans più marginalizzate.
Insomma, dovremmo farci anche tutti noi un esamino di coscienza interno. Della mia esperienza come presidente di Crisalide, una delle più sconvolgenti è stata quella del ripetersi in diversi convegni, finito il mio intervento, delll'avvicinamento di qualche omosessuale che si complimentava con me, esprimendo - anche esplicitamente - il suo candido stupore per il fatto che una transessuale potesse anche essere intelligente o saper parlare e scrivere... W la sincerità e... per la presa di coscienza "non è mai troppo tardi" diceva il maestro Manzi in tv quando l'Italia era ancora in larga parte analfabeta.

Parte seconda: le conseguenze

Se l'omofobia può essere presente ovunque, così come la transfobia, di certo essa assume toni e risalti differenti nei differenti ambiti in cui si esprime. E la diversità dei "toni" determina anche la differenziazione delle conseguenze.
Le forme di trans/omofobia interne all'ambiente GLBT hanno creato muri, incomprensioni e discriminazioni, ma mai atti di vera e propria violenza (a parte qualche buttafuori di locali gay nei confronti di trans che volevano a tutti i costi entrare ed erano immancabilmente rifiutate).
L'omofobia e la transfobia Statuale, degli stati laici determinano una carenza di diritti, una diseguaglianza sociale, una cittadinanza di serie Z, ma raramente atti di violenza fisica.
Sono le omofobie e transfobie che derivano da convinzioni religiose, etiche, morali, quelle che invece creano le condizioni, l'humus giusto per le più gravi forme di espressione violenta. Le nazioni "etiche" di stampo religioso cattolico, cristiano fondamentalista e islamico fondamentalista o quelle in cui questi "enti morali e religiosi" hanno forte influenza fra la popolazione, rappresentano il più grande pericolo per la stessa incolumità delle persone transessuali e/o (la "o" è d'obbligo visti gli esempi precedenti) omosessuali. Nei casi più gravi si arriva a rendere la discriminazione omofobica e/o transfobica vera e propria legge dello stato. E' il caso dell'Iran, di alcuni stati USA, di molti stati della ex area "sovietica" ed altri ancora che puniscono l'omosessualità e/o la transessualità con pene variabili dalla multa fino alla pena di morte (e a proposito di "multe" fino a che non verrà definitivamente chiarito dal Ministero degli Interni che la legge contro il "mascheramento" pubblico, non possa e non debba essere applicato contro il trans/vestitismo delle persone transgender, anche l'Italia ha, seppur indebitamente usata, una legge punitiva transfobica).
Ma anche dove queste "entità morali" che condannano a vario titolo e con diversi toni l'omosessualità e la transessualità non riescono a imporre agli Stati, leggi punitive, esse possono essere responsabili della diffusione del "virus" omofobico e/o transfobico.
Lampante l'esempio della Chiesa Cattolica in Italia. Da quando quasi quotidianamente si scaglia contro l'omosessualità (un po' meno contro la transessualità ma solo perché non vi è all'ordine del giorno una legge come quella dei PACS che riguarda principalmente i diritti degli omosessuali), incitando alla diffidenza, al pregiudizio tutta la popolazione cattolica, le violenze contro gay e lesbiche sono clamorosamente aumentate. E in qualche modo, non avendo MAI espresso una sola parola di condanna contro i pestaggi e gli omicidi perpetrati nei confronti di gay, lesbiche, trans, la Chiesa non si limita a diffondere questo pestilenziale virus, ma in qualche modo "guardando altrove" ogni volta che viene compiuto un omicidio contro i gay, offre, nelle menti più fanatiche, il senso dell'impunità morale dei propri gesti. La Chiesa Cattolica può avere anche il diritto di considerare i rapporti omosessuali sbagliati e le persone transessuali disturbate, ma se non accompagna a queste opinioni la PIU' FERMA CONDANNA alle violenze contro queste persone, allora travalica il limite della libera espressione d'opinione e diventa automaticamente complice morale oggettivo di tali atteggiamenti, avvicinandosi pericolosamente ad una forma passiva di "apologia di reato".
Mentre è opinione diffusa negli stati laici e nella UE che, con diverse graduazioni, omosessuali e transessuali sono persone che necessitano di leggi di tutela dei loro diritti, proprio a causa del virus omo/transfobico, in Italia si consente alla Chiesa Cattolica ogni forma di espressione di pregiudizio senza neppure la condanna degli atti violenti che derivano proprio da una esacerbazione delle opinioni che per primi diffondono.
Questo fatto dovrebbe essere intollerabile, ma passa costantemente sotto silenzio.

parte terza: l'analisi dei perché

Fino ad ora abbiamo visto come mille situazioni micro e macrocosmiche smentiscano la superficiale "unificazione" di omofobia e transfobia; abbiamo visto quali possono essere le conseguenze (queste si unificate!) della trans/omofobia, ma non abbiamo ancora cercato di capire il perché la parentela fra i due atteggiamenti sia più apparente che reale, perché un Iran possa ammazzare i gay e accogliere le trans, perché un uomo eterosessuale possa accettare i gay e non tollerare le trans o viceversa, perché un gay o una lesbica possano essere transfobici, perché una trans possa essere omofobica o perché uno stesso trans possa essere transfobico (per non parlare - per brevità - di come anche un gay possa essere omofobico, ad esempio nei confronti dei gay effemminati o una lesbica possa essere lesbofobica, per esempio nei confronti delle cosiddette lesbiche "lipstick" ).
Perché vi sono Stati, Religioni, comunità, singole persone che accettano la transessualità e condannano l'omosessualità?
Perché vi sono altrettanti Stati, Religioni, comunità, singole persone che considerano "normale" l'omosessualità e ripudiano chi cambia il proprio sesso di nascita?
Perché omofobia e transfobia sono due cose molto diverse fra loro che però generano conseguenze analoghe e simili e, proprio per questo motivo, queste diversità spesso non vengono colte.
Ma dove è situata questa differenza? Le è nelle origini diverse che generano i due fenomeni
Schematizzando:

  • l'omofobia è figlia dell'eterosessismo
  • la transfobia è figlia del genderismo

Eterosessismo? Genderismo? Verrebbe da parafrasare una vecchia pubblicità televisiva di uno shampoo in cui un inglese chiedeva: "what's forfora?", "What's Genderismo?" What's Eterosessismo?". Cosa sono queste due parole che - auspico prima o poi - l'Accademia della Crusca
le accolga fra i suoi lemma" - non troverete su alcun dizionario di lingua italiana?
Proverò a spiegarlo nel modo più semplice possibile:

  • L'eterosessismo è la convinzione assoluta, derivante, o da osservazioni (errate) naturali, o da convinzioni religiose, secondo cui gli uomini devono desiderare sessualmente le donne e viceversa. Al di là delle più svariate considerazioni religiose o etiche, il cavallo di battaglia dell'eterosessismo è che solo il rapporto eterosessuale garantisce la prosecuzione della specie, della razza, del casato, del nome, del codice genetico ecc.
  • Il genderismo è la convinzione assoluta, derivante da osservazioni naturali (errate) o da convinzioni scientifiche (errate) o da convinzioni religiose, secondo cui i sessi sono due e non possono essere cambiati o modificati. Al di là delle più svariate considerazioni religiose o etiche, il cavallo di battaglia del genderismo è "pseudoscientifico": i sessi sono determinati dalle combinazioni cromosomiche: "xx" per le femmine, "xy" per i maschi e l'impostazione cromosomica di una persona è immodificabile.
    Di conseguenza se i sessi sono due anche i generi sessuali si devono conformare al sesso di appartenenza.

Esiste un punto di contatto fra eterosessismo e genderismo? Si. E il suo nome è "sessismo" che a sua volta è figlio del "maschilismo", madre (dio, direi padre in questo caso!) di tutte le limitazioni alla libertà di espressione dell'essere umano come persona liberamente sessuata, liberamente orientata.
Graficamente:

Entrare ora nel merito dei motivi per i quali eterosessismo e genderismo siano figli ma, come visto, non gemelli, del "sessismo" che a sua volta è figlio del "maschilismo" ci porterebbe troppo lontano anche se prima o poi anche questo argomento dovrà essere approfondito.

parte quarta: gli o/errori dell'eterosessismo e del genderismo:

  • Eterosessismo: se è vero che la natura provvede alla continuazione della specie attraverso rapporti sessuali maschio-femmina, altrettanto vero è che questo dato di fatto non può essere assunto come base ideologica di omologazione forzata a questo comportamento. Se si dovesse ragionare nei puri termini di "continuazione della specie" si dovrebbe allora accettare che i maschi lottino fra loro anche fino alla morte affinché solo i geni più "forti" si moltiplichino, si dovrebbe accettare la poligamia maschile affinché questi geni più forti si spargano il più possibile per il miglioramento della specie, si dovrebbe vietare ogni forma di controllo delle nascite (anche quelli fallaci accettati dalla Chiesa Cattolica). Inoltre l'osservazione attenta e non superficiale della natura stessa, offre innumerevoli esempi di comportamenti animali omosessuali o bisessuali. La continuazione della specie quindi non è minimamente messa a rischio dai comportamenti omosessuali. Lo sarebbe solamente se esistesse una sorta di dominio "omosessista" che obbligasse tutti ai rapporti esclusivamente omosessuali. Nessun omosessuale si sogna una tale ipotesi di dominio. Questo fa sorgere spontanea la domanda: perché l'eterosessuale eterosessista si sente invece autorizzato a immaginare e realizzare il suo dominio?
    Se in natura è diffuso anche il comportamento omosessuale anche fra gli animali è evidente la non necessità che tutti gli appartenenti a quella specie debbano essere chiamati alla procreazione naturale.
  • Genderismo: se è vero che i sessi predominanti in natura sono due e dettati dalle combinazioni cromosomiche "XX" e "XY", è altrettanto vero che sempre in natura, in percentuale minima ma non così esigua come si pensa, esistono combinazioni cromosomiche diverse (XXY) ad esempio. Tali combinazioni vengono considerate spesso patologiche (pseudermafroditismo o intersessualità) ma solo in alcuni casi le forme di pseudoermafroditismo danno realmente problematiche di salute e ad ogni modo anche in questi casi, è possibile spesso intervenire con la medicina - non assegnando ad un sesso o all'altro le persone fin dalla nascita - ma semplicemente intervenendo laddove l'intersessualità possa creare problematiche funzionali (sovente di mero carattere urologico).
    Inoltre l'osservazione della natura, anche della nostra tradizionale esperienza contadina, non dovrebbe omettere, che, ad esempio, in un pollaio, talvolta nascono galli che si comportano come galline (per non citare le tante razze animali che, durante la loro vita cambiano sesso naturalmente). La natura stessa offre lo spunto per capire che sesso cromosomico e identità di genere sessuale non sono sempre concordi fra loro. Inoltre tutti gli studi più recenti confermano che l'organo "sessuato" per eccellenza negli umani è il cervello e non i genitali. Dimorfismi, e diverse modalità di "attivazione di aree cerebrali" fra maschi e femmine, sono ormai comprovate da semplici analisi di laboratorio. E se il cervello è l'organo sessuato per eccellenza è da esso che si dovrebbe determinare - non tanto il sesso - quanto l'identità di genere della persona. Sono ormai numerosi gli studi che evidenziano la similitudine se non addirittura la sovrapposizione sia morfologica, sia "funzionali" dei cervelli delle persone transessuali con le morfologie e funzionalità dei cervelli delle persone del sesso opposto a quello marcato dai loro cromosomi e genitali. E stanno iniziando ad essere pubblicati anche studi che vanno ancora oltre fino alla genetica. Anch'essa sembra dimostrare che non sempre sesso e identità di genere combacino in quanto parti di codice genetico tipicamente femminile sono presenti nelle transessuali da uom a donna (non ci risultano ancora studi su eventuali simmetrie fra uomini genetici e trans FtM).
    Infine, l'essere umano, è dotato di coscienza di sé e non risponde esclusivamente a istinti richiamati da programmi genetici: è un essere profondamente psicologico. Ha la psiche più sviluppata del regno animale. E quindi anche la percezione del sé dovrebbe concorrere nello stabilire quale sia l'identità di genere ed il ruolo di genere più adatto all'espressione armonica della personalità di ogni persona a prescindere dal sesso genitale.

parte quinta: le differenze di orientamento sessuale e di identità di genere sono malattie da curare?

Un'obiezione che si potrebbe portare alle ultime considerazioni è che in natura non nascono solo "minoranze" omosessuali o transessuali, ma molte altre variazioni sono presenti, molte delle quali considerate patologiche e da curare. Perché non considerare patologiche anche le "devianze" omosessuali e transessuali? Nascono persone strabiche, mutilate, con ogni sorta di "differenza" dalla norma e nessuno si sogna di non considerare queste "varianti" come situazioni a cui porre rimedio. Perché interveniamo operando un bambino strabico, perché curiamo alcuni comportamenti devianti quali la paranoia, la schizofrenia e non omosessualità e transessualità? Per carità, storicamente orribili pagine della scienza e della "psicologia" - alcune delle quali scritte nei lager nazisti - ci hanno pure provato a curare gay, lesbiche e trans, fallendo sempre. L'unico sistema che sembra abbia dato qualche risultato è la lobotomia frontale eseguita dal dott. Goebbels con l'effetto collaterale di una demenza totale e inguaribile.
Cosa contraddistingue, quindi, una differenza "patologica" da una "non patologica"? La sofferenza che provoca, la mutilazione che comporta o, peggio, l'incompatibilità con la sopravvivenza. Se nessuno di questi parametri è presente, nessuna "differenza" dovrebbe essere considerata patologica e quindi curata.
Le sofferenze di chi si scopre gay o lesbica, derivano tutte dalla non accettazione culturale, dall'omofobia. La prova di questa affermazione è nella storia dell'umanità che, in alcuni periodi ed in alcune zone geografiche, ha considerato l'omosessualità come una possibile variante comportamentale (o addirittura un dono). Ebbene in queste culture non risulta che gli omosessuali abbiano avuto a che soffrire della loro differenza. E' vero che anche la pedofilia è stata in certi periodi storici considerata naturale e oggi invece la consideriamo un comportamento criminale, deviato, malato. In realtà ciò che rende la pedofilia ai nostri occhi inaccettabile è la coscienza che un bambino non sia né fisicamente, né psicologicamente pronto all'attività sessuale ed è in funzione della protezione dei minori che la pedofilia risulta inacettabile, non per altro.
Infine anche in questo caso, fra gli estremi dell'antica Grecia (spesso mistificati) e l'isterismo che vorrebbe morto ogni pedofilo a prescindere dal fatto che abbia o meno esercitato la sua pulsione, anche in questo caso la natura potrebbe offrirci la sua benevola indicazione: chiara, netta e difficilmente equivocabile. Ogni essere umano dovrebbe aver diritto ad esercitare liberamente la propria sessualità dopo il "marker" che la natura ci mostra e con molta evidenza: la prima polluzione, la prima mestruazione. Questi eventi ci dicono che la natura rende pronti gli esseri umani al diritto alla sessualità. Se così non fosse, dovremmo mettere in carcere quasi un intero continente, l'Africa, dove l'età media dell'inizio delle attività sessuali di uomini e donne è appena superiore all'età media dell'avvio della pubertà. Che poi vi siano limitazioni dell'esercizio della sessualità fra chi ha più di 18 anni e chi ne ha di meno, questo è un puro fatto arbitrario - e come tale opinabile -della nostra cultura.
Chiarito l'equivoco che viene costantemente "tirato in ballo" dagli omofobici quando si parla di "orientamento sessuale", ovvero che se si legittima l'omosessualità come orientamento sessuale, allora si dovrebbe essere costretti a dichiarare lecita anche la pedofilia, facendo una incredibile confusione fra lecito ed illecito (non sofferenza/sofferenza delle parti in causa), abusando di parallelismi che dimenticano da una parte la natura e il diritto del minore postpuberale alla sessualità, dall'altra, all'opposto, il dovere di proteggere il minore prebuberale da esperienze per cui la natura non l'ha ancora maturato, cosa del tutto assente nell'omosessualità consensuale adulta (o comunque post-puberale); chiarito ed affrontato per evitare di fare analisi volutamente "censurate", passiamo alla questione della transessualità.

Al contrario dell'omosessuale o della lesbica, la persona che si scopre difforme psicologicamente dal proprio sesso, non conosce solo sofferenze derivanti dalla transfobia della società. Scoprire di avere un corpo che non si desidera causa una sofferenza sua propria. Anche in questo caso però la Storia ci aiuta ad inquadrare meglio quanto sia determinante la sofferenza indotta rispetto a quella intrinseca, per l'armonioso sviluppo di una personalità. Già perché in civiltà, epoche e culture diverse dalla nostra, la condizione di distonia fra sesso e genere non subiva alcuna discriminazione. In molte tribù degli indiani d'america, ad esempio, questo tipo di persona veniva assolutamente accettata ed in alcune di esse, veniva persino considerata una necessità. Al punto che attraverso l'interpretazione di alcuni sogni, chi li faceva "doveva" vivere come donna se nato uomo o viceversa. Fra i sioux i/le "Winkte" (ovvero le persone transessuali, sia da maschio a femmina sia da femmina a maschio) erano profondamente rispettate. Molte Winkte erano considerate ottime mogli, ad altre veniva assegnato il ruolo di "giudice di pace" per tutte le questioni riguardanti le dispute fra uomini e donne, perché considerate persone "super partes". "Two spirits", "Due spiriti"... anche questo era un nome per le transessuali. E' riportato dai libri di storia (pochi ovviamente) che uno dei guerrieri che si contraddistinse per capacità e determinazione nella battaglia di "Little Big Horn" fra i Sioux era proprio un "Winkte", un uomo nato donna, un transessuale.
In un ambiente favorevole, la sofferenza intima di essere nate o nati di un sesso opposto alla propria identità, veniva ampiamente compensata dalla possibilità che la società offriva loro di esprimersi con pienezza nel proprio genere sentito.
E le proto-transessuali di allora non avevano a disposizione nulla, se non la castrazione, per femminilizzarsi o per mascolinizzarsi, per adeguare anche il proprio corpo alla propria identità e ruolo di genere. Ciononostante vivevano complessivamente una vita più onorevole di quanto possa permettersi una persona transessuale nell'avanzato occidente di oggi.
Sembra pertanto facilmente dimostrabile che la sofferenza intrinseca alla propria condizione distonica fra sesso e gender possa trasformarsi in un dono, in una ricchezza, se le condizioni sociali consentono la piena espressione di sé, senza discriminazioni e umiliazioni derivanti dalla transfobia. La natura spesso se toglie da una parte, dà dall'altra. Il prezzo della distonia fra corpo e psiche riguardo la propria identità di genere - in una società aperta - sarebbe ampiamente compensato dal fatto di avere il dono di essere rare persone dotate dei "due spiriti"...
Oggi la scienza, ipocritamente ma pietisticamente, sembra aver voluto inserire fra le patologie psichiatriche il transessualismo più per consentire alle persone transgender l'accesso gratuito alle terapie oggi disponibili per armonizzare anche il proprio corpo alla propria identità, che non per vera convinzione. Una prova di quanto affermato la si può trovare in un "botta e risposta" fra il pubblico e la psicologa Peggy Cohen-Kettenis* durante la relazione che ha tenuto a Bari il 31 maggio 2003 presso l'ARIRI e la Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica:

Domanda del pubblico: Se il "vero" transessuale è colui al quale viene consentito il cambiamento di sesso, non ha psicopatologia associata, ha un buon esito post-trattamento, ecc., perché i disturbi dell'identità di genere rientrano nel DSM-IV, ossia vengono classificati come disturbi mentali?
Risposta: Questo è un buon punto. Credo che le ragioni principali stiano fuori dal DSM. Ad esempio una ragione pratica, anche se non la più importante, è che senza un disturbo classificato nel DSM, in molti paesi le compagnie di assicurazione non coprirebbero le spese del trattamento. So che è un problema di cui si sta discutendo nella preparazione del DSM-V. (tutto l'intervento su: http://www.psychomedia.it/ariri/cohen_0503.htm o salvato nel nostro mirroring)

Peraltro appare evidente la forzatura della "diagnosi psichiatrica" per il transessualismo. Infatti il DIG (Disturbo dell'Identità di Genere, nome scientifico con cui il DSM IV inquadra il transessualismo) sarebbe l'unica patologia psichiatrica che si cura non adeguando la devianza di comportamento alla norma, ma adeguando il corpo alla "devianza"! E ciò è inconcepibile. Inquadrare nosograficamente il transessualismo appare una operazione improba, impossibile. E' un caso unico nella medicina: non nasce come conseguenza di patologie psichiatriche, non nasce da patologie di tipo cromosomico o morfologico o funzionale. E' una "non malattia" che necessita di cure mediche.
In ogni caso appare evidente che la persona trans potrebbe essere assolutamente una risorsa per tutta la società se aiutata dalla moderna medicina ad assumere un aspetto esteriore egosintonico ed in assenza di discriminazione, stigma ed emarginazione.
Anche in questo caso, la natura che ha un percorso maggioritario di "gender" separati, prevede che circa una persona su 50000, nasca o si sviluppi con una identità trans/genere. Ciò non mette a rischio la specie, non è trasmissibile culturalmente** e chissà forse potrebbe rispondere ad un disegno, un bisogno di questa umanità così separata fra sessi che spesso non si sanno parlare, di qualche "interprete" "two spirit" per gettare un ponte di comunicazione e di maggiore comprensione.

Parte sesta: conclusioni

Non vi sono conclusioni davvero tali quando si parla della cultura e della sottocultura umana.
Il tentativo non è quindi quello di definire "una volta per tutte" le differenze, le affinità, le conseguenze, le opportunità riguardo l'omosessualità e la transessualità. Credo però che qualsiasi azione politica, perché abbia una base ideale, deve necessariamente fondarsi su dei presupposti di comprensione profonda dei fenomeni che ci riguardano.
Transfobia, omofobia, genderismo, eterosessismo, sessismo, maschilismo sono parole che portano significati molto pesanti e che possono essere usati a sproposito se non si indaga sulle similitudini e differenze, sulle cause e sulle possibili vie d'uscita. Se non si affronta con mente sgombra da pregiudizi i pregiudizi che ci affliggono così pesantemente.
Il tentativo è quello di sgombrare un poco il cielo dalle nuvole, senza pretendere di ottenere il sereno della verità assoluta.

Mirella Izzo

Genova 4 agosto 2005

* Peggy Cohen-Kettenis è docente di psicologia presso la Vrije Universiteit di Amsterdam e responsabile del Gruppo sui Disturbi dell'Identità di Genere (DIG) del Dipartimento di Psicologia del Centro Medico della stessa Università, unico centro di riferimento nazionale in Olanda per i disturbi dell'identità di genere. E' annoverata fra i maggiori esperti internazionali di transessualismo, è membro di vari comitati scientifici della Harry Benjamin International Gender Dysphoria Association di cui ha curato anche la VI edizione (febbraio 2001) degli Standards of Care for Gender Identity Disorders . Autrice di numerosi lavori clinici e sperimentali, ha recentemente pubblicato insieme a Friedemann Pfafflin (Università di Ulm, Germania) Transgenderism and Intersexuality in Childhood and Adolescence: Making Choices (SAGE Publications, 2003) in cui viene presentata un'ampia rassegna dei maggiori punti clinici, scientifici ed etici del problema del transessualismo e dell'intersessualità.

** Un caso emblematico e tragico di come l'identità di genere non sia modificabile dall'educazione e dal condizionamento psicologico è quello che vide protagonista il dott. Money, famosissimo psicologo USA degli anni '70. Money è stato uno dei primi medici a seguire e aiutare le persone transessuali ma sopravvalutò il condizionamento culturale rispetto all'intriseca percezione del sé quando si presentò una coppia che aveva avuto due gemelli maschi: durante l'intervento di circoncisione, per un incidente, il pene di uno dei due gemelli venne letteralmente distrutto, bruciato. I genitori e Money pensarono quindi che la miglior risposta per dare una vita soddisfacente a questo bambino di quasi due anni senza pene, fosse quello di educarlo come una femmina senza rivelargli nulla del suo passato. Per i primi anni non vi furono particolari problemi ma con l'avvicinarsi della pubertà questa neofemmina condizionata iniziò a dare sempre maggiori segni di disagio e i suoi comportamenti diventavano sempre più mascolini (nonostante gli fossero stati rimossi i testicoli a due anni!). Quando la situazione divenne insostenibile, i genitori rivelarono ad entrambi i gemelli la verità. Il gemello sano rimase sotto choc e quello trasformato in femmina pretese la riconversione sessuale in maschio. Nel giro di una decina di anni entrambi i fratelli si suicidarono".